Economia
Pini, due miliardi di ricavi nel 2021. I numeri che rilanceranno Ferrarini
Una crescita vorticosa: circa 1,1 miliardi di fatturato, il doppio rispetto a quello dello scorso anno (558 milioni di euro) che crescerà fino a quasi due miliardi nel 2021, grazie all’accordo di fornitura siglato a gennaio da 840 milioni di euro annui con il colosso cinese WH Group, il più grande commerciante di carne suina al mondo quotato alla borsa di Hong Kong.
Sono i numeri del gruppo Pini, lo storico marchio della bresaola made in Italy, fondato nel 1982 in provincia di Sondrio che ha differenziato nel 2013 nella macellazione suinicola diventando leader assoluto nel mercato italiano (terzo in Europa) con una quota del 20% e che si è candidato ora, in cordata con Amco (ex Sga), a salvare e rilanciare il marchio Ferrarini, finito in concordato preventivo.
Secondo quanto può riferire Affaritaliani.it, che ha consultato alcuni documenti interni al gruppo del “Re della bresaola” tricolore, la struttura societaria che fa capo a Roberto Pini, deus ex machina del gruppo, vede a monte della catena la storica società italiana di famiglia Pini Holding, Srl che opera attraverso due società: Pini Italia Srl, con sede a Castelverde in provincia di Cremona e controllata al 100% (nata dal rilancio del polo produttivo dell’ex Bertana, acquistata nel 2013 dal concordato) e la Ghinzelli Srl, con sede a Viadana, in provincia di Mantova.
Da questi due che sono tra i più grossi macelli nazionali, Pini sforna circa 1,5 milioni di suini all’anno, di cui il 95% è destinato alle produzioni Dop e Igp, compresi i salumi (oltre ai prosciutti). Sempre controllate al 100% dalla holding sono anche la spagnola Libera Meat, il primo stabilimento iberico avviato a settembre del 2019 e interamente finanziato con cassa, che ha cominciato a produrre a fine dell’anno scorso e Prontocome KFT, una società immobiliare con sede in Ungheria. In tutto, il gruppo Pini dà lavoro a 1.490 persone, monte dipendenti che a regime, indica il gruppo, raddoppierà a 3.240 lavoratori.
Nel 2019, Pini Italia e Ghinzelli hanno realizzato ricavi consolidati per per circa 457 milioni di euro, l’89% realizzati in italia (408 milioni ) mentre l’11% all’estero. Il grande volano di crescita per il gruppo valtellinese sarà lo stabilimento spagnolo, da cui quest’anno è atteso un contributo determinante al fatturato di circa 600 milioni di euro. Contributo destinato ad aumentare significativamente nei prossimi anni: un miliardo di euro nel 2021 e 1,5 miliardi nel 2022, grazie alla sua posizione industrialmente strategica nella penisola iberica. Situato a Binefar, in Aragona vicino ai Pirenei al confine con la Francia, il sito ha immediato accesso infatti all’approvvigionamento di materia prima (dall’Aragona e dalla Catalogna arrivano circa 30 milioni di suini, il 57% dei livelli totali spagnoli) e alle principali infrastrutture logistiche, come porti e autostrada per il trasporto su gomma verso il mercato europeo.
Da questo macello, il gruppo Pini servirà in primis anche i principali operatori cinesi. E’ questo aspetto che preoccupa la filiera suinicola italiana nella proposta di salvataggio per il gruppo Ferrarini. Gli allevatori italiani, con cui fa gioco di sponda la cordata concorrente Grandi Salumifici Italiani-Bonterre-Opas-Hp orchestrata da Banca Intesa (l'istituto è esposto nei confronti di Opas, Organizzazione di produttori allevatori di suini) temono infatti che, mettendo le mani su Ferrarini, Pini tagli le forniture tricolori di suini che servono il blasonato marchio reggiano di prosciutti. Il motivo? Rivolgersi alla meno costosa materia prima spagnola.
Timori fondati? Dal vertice del colosso italiano italiano della macellazione hanno assolutamente escluso lo scenario. “Onestamente, mi sembra alquanto assurdo”, ha spiegato infatti a inizio settembre il presidente Roberto Pini in un'intervista ad Affaritaliani.it. ”Anzi, aumenteremo la percentuale di lavorazione di prodotto italiano. Tuteleremo l'occupazione dell'azienda emiliana e faremo crescere il gruppo, con ricadute positive finali per tutta la filiera e il territorio italiani”, aveva aggiunto.
E, al di là della proposta migliorativa di concordato (ora si attende il pronunciamento a fine mese del Tribunale di Reggio Emilia), i numeri di bilancio e i contratti di fornitura in cassaforte sono una bella garanzia per tutto il made in Italy.
@andreadeugeni