Economia

Popolare di Vicenza, Carige e PopBari: maquillage che inchioda BankItalia

Andrea Deugeni e Luca spoldi

Tassi di copertura dei crediti deteriorati sempre più bassi rispetto alle altre banche italiane. Via Nazionale sapeva

Popolare di Vicenza, Banca Carige e Banca Popolare di Bari: c’è un filo rosso di malcostume contabile che accomuna la maggior parte dei casi di crisi del credito degli ultimi anni del nostro Paese, gestioni dei banchieri tutte alla luce del sole (perché i bilanci di queste banche erano pubblici) che hanno cercato il più possibile di non far emergere o limitare le perdite in conto economico. Evitando di dover bussare alla porta dei propri azionisti per rimpolpare il capitale. Un maquillage che, fino a quando è stato possibile, ha neutralizzato questo rischio. Politiche di cui la Banca d'Italia era a conoscenza, ma contro le quali, più di inviare semplici raccomandazioni, non ha fatto.

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Il filo rosso è la volontaria sottostima delle rettifiche sui crediti malati da parte dei vertici delle banche, mentre i loro bilanci si infarcivano di prestiti deteriorati sotto i colpi della crisi economica e del credito “disinvolto” ai clienti da prime rate. Accantonamenti non adeguati per non compromettere troppo l’ultima riga del conto economico e che si sono rivelati soltanto un mettere la polvere sotto il tappeto nella speranza di futuri esercizi migliori. Speranza che veniva condivisa quindi anche da Via Nazionale e che alla fine è rimasta frustrata dal peggiore degli epiloghi: il crac e il salvataggio esterno ad opera di un cavaliere bianco, pubblico o privato.

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Andando a spulciare i bilanci della Popolare di Vicenza, dell’istituto ligure e della popolare pugliese prima che scoppiasse il bubbone, emerge infatti che i tassi di copertura dei crediti deteriorati erano significativamente sotto la media del sistema bancario nel suo complesso. Nel caso della Banca Popolare di Bari inferiori addirittura di 10 punti percentuali.

Nel 2018, nell’ultimo bilancio dell’istituto gestito dalla famiglia Jacobini, il tasso di copertura dei crediti deteriorati era di solo il 39% del valore, contro la media del tasso di accantonamento del sistema bancario italiano che sempre nello stesso anno era del 49%. Politica di valutazione degli attivi assolutamente non credibile che se si guardano i coverage ratio del 2014 adottati a Vicenza e a Genova fanno riemergere quel filo rosso di scarso rigore contabile da parte dei vertici che ha cercato di tenere in piedi artificialmente la banca.

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In quell'anno, a fronte di un coverage ratio medio del sistema bancario del 44,8% (dato BankItalia), nell'ultimo bilancio della Popolare di Vicenza firmato da Gianni Zonin e da Samuele Sorato il tasso di copertura dei crediti deteriorati era del 37,9%. A Genova, in Banca Carige Giovanni Berneschi, prima di chiudere l'era della Fondazione della Cassa di Risparmio di Genova e passare le redini alla famiglia Malacalza, aveva adottato un coverage ratio inferiore a quanto facevano in media le altre banche italiane: del 39,9%. Un vizietto che è proseguito poi anche l'anno successivo,  quando il tasso di copertura del sistema dei crediti deteriorati era del 45,4% del valore. 

Sotto la Lanterna, infatti, nonostante Berneschi fosse fuori dal gruppo, il coverage ratio adottato dalla banca era inferiore, al 42,4%. Stessa cosa fatta nella città berica, dove nell'anno in cui Zonin lascia la presidenza dopo 19 lunghi anni di regno incontrastato, il tasso di copertura dei crediti deteriorati si ferma al 42,4%.

banca d'italia ape
 

Come risulta dai bilanci, gli accantonamenti di queste banche, che poi sono saltate, erano dunque sempre insufficienti. E gli ispettori occhiuti della Banca d’Italia che guardavano i bilanci scartabellando anche fra i documenti degli audit interni degli istituti lo sapevano.

Perché non è stato fatto nulla di più incisivo? Invece che inviare le raccomandazioni, da Palazzo Koch non potevano mettere una pezza effettiva prima che i castelli finanziari crollassero, seppellendo gli investimenti di milioni di risparmiatori?