Roberto Perotti vs "tirannia dello status quo" e il debito pubblico in Italia - Affaritaliani.it

Economia

Roberto Perotti vs "tirannia dello status quo" e il debito pubblico in Italia

Perotti passa in rassegna tutte le malattie italiane sul terreno della spesa facile e degli sprechi

Di Daniele Capezzone

Roberto Perotti è un autorevole docente alla Bocconi, con un notevole background accademico americano. Da molti anni, chi lo segue con attenzione sa che si tratta di una delle personalità più coerentemente e coraggiosamente impegnate a sostenere l’opportunità (e la possibilità!) di tagliare sprechi e spesa pubblica in eccesso. In un tempo più recente, anche una pubblica opinione più allargata ha ascoltato il suo nome come commissario alla spending review tra fine 2014 e fine 2015, dopo l’esperienza di Carlo Cottarelli: purtroppo, le cose si sono concluse in modo analogo, con un dignitoso addio dinanzi alla constatazione di quel che il Governo era (rectius: non era o non era più) disposto a fare.

Intendiamoci, il libro è elegante, non ha sbavature polemiche o recriminatorie. Come nella sua recente polemica sul Corriere della Sera con il deputato renziano Gutgeld, anche in questo saggio più articolato Perotti non urla, non sbraita, non inveisce. Ragiona ed elenca dati: e questa lucidità, unita alla ragionevolezza delle proposte politiche che ha avanzato e ha visto arenarsi, rendono ancora più credibile il suo lavoro, in misura inversamente proporzionale alle difese d’ufficio provenienti dall’entourage renziano.

Sbrighiamo subito questa parte, così ci togliamo il pensiero. Perotti spiega chiaramente perché se ne sia andato. Aveva sentito a chiare lettere un impegno del Governo a un taglio di spesa pubblica di 10 miliardi, anche ragionando sulla valanga delle famigerate “tax expenditures”. Quando ha visto che il taglio è stato solo di 4 (per l’esattezza di 4.6 miliardi: appena lo 0.3% del Pil, cioè nulla), e che le “tax expenditures” sono rimaste intatte, ne ha preso atto, e ha salutato. Un giorno, se avrò il piacere di incontrarlo, sarò lieto di raccontargli (mutatis mutandis) un’esperienza analoga: da Presidente della Commissione Finanze nel biennio 2013-2015, oltre ad approvare le prime (vere) norme pro-contribuente sul tema Equitalia (impignorabilità della prima casa, della seconda casa, dei beni dell’azienda, ecc), contribuii in modo decisivo a varare una delega fiscale (consegnata dal Parlamento al Governo che allora arrivava: Renzi, appunto) che metteva nero su bianco la possibilità di tagliare spesa e tasse, anche includendo uno specifico mandato sia sulle “tax expenditures” sia sui sussidi alle imprese (ovviamente ancorando questo taglio ad un contestuale e simmetrico taglio di tasse). Renzi e i suoi hanno tenuto tutto questo nel cassetto, hanno attuato la delega per non più del 30/40% (su questo punto: 0%!), e hanno anche pensato bene di sostituire il Presidente della Commissione...

Ma lasciamo perdere e torniamo ai contenuti di questo libro pregevole e utilissimo.

Perotti prende le mosse da una citazione di Milton Friedman, quella relativa alla “tirannia dello status quo”, e esordisce evocando i costi e i prezzi pagati dai due soli politici che, negli ultimi 35-40 anni, abbiano in modo visionario cercato di andare controcorrente: Margaret Thatcher e Ronald Reagan.

E’ chiaro che non è facile mostrare in concreto un coraggio corrispondente a quello che viene sciorinato in comizi e discorsi (aggiungerei: e slides). Perotti è onesto e lucido nell’usare il bisturi. Perché i politici non danno seguito a questo tipo di impegni? Certo, in primo luogo per la resistenza degli interessi costituiti. Ma non solo, c’è anche altro: pigrizia intellettuale, mancanza di informazione approfondita sui temi, disorganizzazione, disattenzione di chi sta al vertice verso i dettagli, scarsa abitudine a prendere esempio dai modelli stranieri funzionanti, indisponibilità a lavorare-lavorare-lavorare.

Questo è ciò che va fatto. E Perotti è limpido nell’esporre la sua tesi, che è totalmente da sottoscrivere. Primo: per tagliare le tasse, devi tagliare la spesa. Secondo: devi tagliare la spesa ora, adesso: solo così puoi smantellare il legame perverso tra politica ed economia; solo così puoi disboscare la sovrapposizione e la confusione tra i piani di spesa preesistenti; e soprattutto solo così puoi mostrare a tutti (cittadini, Europa, mercati, nell’ordine preferito da ciascuno) che sei davvero determinato e capace di farlo.

Naturalmente, nel libro, con una trattazione analitica, carica di dati ma non pedante, senza mai perdere il “filo” del ragionamento principale, Perotti passa in rassegna tutte le malattie italiane sul terreno della spesa facile e degli sprechi: in ordine sparso, Rai, partecipate, scuola, pensioni, dirigenza pubblica. Voce per voce, si tratta di un manuale che è un vero tesoro: sia per le informazioni che dà, sia per le proposte che avanza.

L’autore si toglie anche lo sfizio di compiere un’operazione intellettualmente onesta rispetto alla cosiddetta “casta” e ai privilegi del potere politico e dell’establishment in generale. Prima (e fa benissimo) li elenca nel dettaglio, senza trascurare di violare santuari “intoccabili” (magistrati, Corte Costituzionale, eccetera). Poi però (e fa altrettanto bene) smonta la tesi secondo cui basterebbe tagliare questa parte per risolvere i problemi italiani. E’ una maxi-balla: tagliare è e sarebbe assolutamente necessario ed educativo, ma a regime non farebbe risparmiare più di 2 miliardi netti.

Forse la parte ancora più coraggiosa di questo bel volume è quella in cui Perotti mette in chiaro quella che dovrebbe essere la priorità: attaccare la povertà estrema, e insieme rendersi conto che i soggetti più a rischio sono gli attuali giovani e le generazioni future. Il rischio di povertà estrema per i minori di 18 anni è oggi in Italia pari al 13% (dato molto superiore alla media europea), mentre per i nostri anziani il rischio si ferma al 3% (dato uguale alla media europea). Sta qui il cuore del problema, insieme alla tendenza dello Stato ad agire da “Robin Hood al contrario”, dando ai ricchi (sussidi per il cinema, sussidi per l’editoria, ecc) per togliere ai poveri veri.

La realtà è questa: si privilegiano gli interessi delle generazioni correnti rispetto a quelli delle generazioni future, che - oggi - non votano, non scioperano, non vanno nei talk show.

Andrebbe ricordata (la cita spesso, e fa bene, Giuseppe Pennisi) un'eloquente analisi di uno dei maggiori specialisti Usa di finanza pubblica, Alan Auerbach: per conservare intatto l'attuale livello di stato sociale italiano (quindi: ammortizzatori, sanità, pensioni, ecc), la prossima generazione dovrebbe pagare, nella propria vita, tasse e imposte pari a cinque volte quelle pagate dalla generazione oggi anziana. Ogni commento è superfluo. 

PS Non solo per “patriottismo” di parte e di partito, ricordo quel che i lettori già sanno. Come Conservatori e Riformisti, per due volte, nelle ultime leggi di stabilità, con emendamenti tecnicamente ammessi dalle Commissioni Bilancio (ma respinti da Renzi) abbiamo proposto un contestuale taglio di tasse e spesa per 48 miliardi (di cui 24 il primo anno). Una dimostrazione di più della tesi di Perotti: volendo, si potrebbe fare. E’ la volontà il problema…