Economia
Tim, le ipotesi sulla Rete. Le forbici di Genish sui dipendenti

I rumors sul nuovo piano industriale dell'ex monopolista in arrivo il 6 marzo
Tim vuole accelerare digitalizzazione servizi. Al di là degli investimenti sulla digitalizzazione e ridefinizione dei servizi, per quanto riguarda l’impatto occupazionale molto dipenderà da come si chiuderà la vicenda che da mesi ruota attorno al destino della rete di Telecom Italia. In un’intervista il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, è tornato a ribadire la sua preferenza per uno scorporo della rete stessa, con successiva quotazione in borsa della società a cui verrebbe conferita.
Calenda fa il tifo per separazione rete e Ipo. Di fatto si tratterebbe di una soluzione non dissimile da quella già adottata per la rete ex Enel, scorporata in Terna e approdata in borsa. Calenda, peraltro, ha più volte espresso la propria contrarietà all’ipotesi che Cassa depositi e prestiti (come invece accaduto proprio per Terna, ma anche per Italgas e Snam) possa entrare nell’azionariato, ad esempio conferendo il suo 50% di Open Fiber Spa come invece da alcuni ipotizzato.
Genish: modello aperto resta il migliore. Genish, al contrario, ha sempre sostenuto che il modello aperto adottato da Tim resti la soluzione migliore per il mercato e per gli utenti per quanto riguarda il tema della connettività e funzioni meglio di Openreach (visto che in Gran Bretagna si sta ancora litigando per lo sviluppo della fibra), e che anzi l’Italia ha finora fatto meglio di tutti gli altri paesi europei, e che la separazione della rete dove è stata attuata, come in Svezia o in Australia, “sta fallendo”.
Tim valuta tutte le soluzioni. Ma lo stesso manager ha anche confermato che il gruppo sta valutando “tutte le ipotesi”, compresa la cessione di una quota “se l’opportunità è giusta e crea valore”. Una cessione che potrebbe, evidentemente, avvenire anche attraverso la quotazione di una partecipazione (più o meno consistente) di una eventuale Newco a cui l’infrastruttura fosse conferita.
Occorre far pace tra Mediaset e Vivendi. Ipotesi, quella dell’Ipo anziché scorporo, che analisti e mercato sembrano preferire e fa dunque tornare a correre il titolo ogni volta che sembra riacquistare concretezza. Ma che ha una conseguenza: quella di ridurre praticamente a zero ogni ipotesi di prossima integrazione tra Telecom Italia e Mediaset, che sembrava essere il “sogno proibito” di Vincent Bolloré. Un sogno che nel frattempo si è già schiantato contro gli scogli di una resistenza arcigna da parte della famiglia Berlusconi e di una politica che continua a temere una “colonizzazione” estera del settore strategico (specie per il “palazzo”) delle telecomunicazioni.
Ipo rete può valere diversi miliardi. Così il definitivo armistizio che tutti si attendono da una settimana con l’altra tra Mediaset e Vivendi potrebbe essere il prodromo di una societarizzazione e Ipo della rete Tim, a beneficio di una decisa sforbiciata del debito (la rete potrebbe valere 7-8 volte l’Ebitda che genera, attorno ai 2 miliardi di euro all’anno, quindi l’Ipo potrebbe superare la valutazione di quella di Pirelli), senza che l’ex monopolista telefonico italiano debba perdere il controllo dell’asset.
Luca Spoldi