Telecom, senza rete vale un miliardo. Il rischio da 26 mld che corre Bollorè
Bolloré deve fare attenzione, se tira troppo la corda rischia di far scattare lo scorporo della rete e consolidare il debito monstre dell'ex monopolista
A questo punto però un azionista con una quota di minoranza avrebbe la maggioranza del Cda (rimarrebbero sol 5 consiglieri indipendenti se passerà la proposta di ridurre da 17 a 15 i posti in Consiglio). Sarebbe la prova provata che Vivendi esercita un controllo di fatto, cosa che potrebbe indurre la Consob a chiedere lumi a Vivendi in merito già nei prossimi giorni, prima della pronuncia, attesa per il 18 aprile, dell’Agcom (il consiglio odierno ha discusso la questione e ha aggiornato a una seduta convocata per il 18 aprile prossimo il proseguimento del dibattito per raggiungere una decisione sul dossier) in merito al fatto la sussistenza di un doppio controllo di Vivendi in Telecom Italia e Mediaset. Ipotesi che violerebbe i paletti del Testo unico dei servizi media audiovisivi e radiofonici e darebbe l’opportunità a Consob di indicare eventuali sterilizzazioni del voto.
Non solo: Consob dopo l’assemblea di Telecom Italia e il successivo Cda con nomina del nuovo presidente potrebbe aprire a sua volta un’istruttoria, arrivando anche a chiedere il consolidamento del debito di Telecom Italia in quello del gruppo francese. Un fardello da oltre 25 miliardi di euro (25,955) che il finanziere bretone si porterebbe in casa bruciando completamente la cassa netta della sua Vivendi, che a fine 2016 ammontava a 1,1 miliardi di euro. Insomma, liquidità in eccesso che rimane ma solo se non consolida l'ex monopolista.
Per questo monsieur Bollorè si preparerebbe a raccogliere le deleghe da parte dei fondi, con tanto di prospetto di sollecitazione affidato a Morrow Sodali, per la votazione della lista di maggioranza. Se la lista di Vivendi raccogliesse il voto anche solo di un 10-15% dei fondi potrebbe essere di fatto annacquato il risultato e mischiate le carte sul controllo di fatto.
Insomma, Bolloré dovrà muoversi in punta di piedi per non urtare nervi sensibili della politica e del mercato, altrimenti il rischio di una serie di “penalizzazioni” di Tim a favore di un’ulteriore apertura del mercato sarebbe più che concreto. Cosa che, forse, non dispiacerebbe neppure agli utenti, visto il gap accumulato in questi anni dall’Italia in materia di infrastrutture tecnologiche con gli altri paesi europei e mondiali, gap il cui peso sullo sviluppo economico è per alcuni tra i motivi principali per cui il Pil italiano resta a livelli marcatamente inferiori a quelli del 2008, caso più unico che raro in tutto l’Occidente.