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Economia
Telecom, senza rete vale un miliardo. Il rischio da 26 mld che corre Bollorè

di Luca Spoldi
e Andrea Deugeni

Per ora è solo un’ipotesi remota, cui analisti e mercato mostrano di non credere eccessivamente, ma dopo che Franco Bassanini, presidente di Open Fiber (società partecipata da Enel e Cassa depositi e prestiti), ha invocato una separazione della rete Tim per fonderla proprio con Open Fiber ed evitare così il rischio di una duplicazione delle reti in fibra che a detta di Bassanini potrebbero competere in modo profittevole “solo in 10-12 maggiori aree metropolitane”, quelle più densamente popolate, l’ipotesi di una separazione della rete da Tim (-0,2% a Piazza Affari a fine seduta) torna al centro della discussione politica.

Al Parlamento Europeo, in particolare, sta iniziando la discussione sul nuovo Codice europeo delle comunicazioni elettroniche, per il quale sono già stati presentati un migliaio di emendamenti tra cui una dell’eurodeputata PD Patrizia Toia che prevederebbe anche la possibilità per le authority nazionali (nel caso italiano l’Agcom) di imporre tale separazione agli ex monopolisti come Tim, nel caso in cui la separazione funzionale non riuscisse a creare una competitività effettiva.

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Agli analisti di Equita Sim l’ipotesi appare tuttavia difficilmente concretizzabile, dopo che Tim ha fortemente accelerato gli investimenti promettendo una rete “ultra broad band” in grado di coprire il 99% del paese entro il 2019 e dopo che lo stesso governo, proprio attraverso Open Fiber, ha aperto ulteriormente la concorrenza infrastrutturale anche con incentivi economici per complessivi 7 miliardi di euro per le aree “a fallimento di mercato”. Per questo l’ipotesi più razionale è a detta di molti che a medio termine si realizzi esattamente l’opposto, ossia l’assorbimento di Open Fiber in Tim, ma in Italia non è sempre la soluzione più razionale a imporsi sulla “ragion di stato” (o di un singolo partito o leader politico), così la domanda “quanto vale la rete Tim” torna a circolare a Piazza Affari.

A fronte di una capitalizzazione di borsa attualmente attorno ai 16,2 miliardi di euro, le ultime stime (peraltro all’epoca contestate dallo stesso Franco Bassanini) circolate sulla valutazione della rete fissa di Telecom Italia (rame più fibra) oscillavano attorno ai 15 miliardi. Troppo per pensare ad uno scorporo, che lascerebbe a Tim asset per un miliardo di euro o poco più. A meno che il ragionamento di Bassinini (15 miliardi è una valutazione sovrastimata per una infrastruttura che per la parte in rame è destinata a una rapida obsolescenza, legata alla pratica della precedente proprietà di Tim di ridurre gli ammortamenti per “gonfiare” il più possibile gli utili) non fosse corretto e che non si lasci a Tim la possibilità di continuare a investire sulla banda larga (l’attuale piano industriale prevede investimenti per non meno di 11 miliardi di euro entro il 2018 tra la rete in banda ultra larga per la telefonia fissa e la rete 4G/5G per quella mobile).

Anche per questo Vincent Bolloré deve fare attenzione: il patròn di Vivendi punta a far eleggere alla prossima assemblea degli azionisti di Tim (di cui Vivendi è socia al 23,9%), in programma il 4 maggio, 10 propri consiglieri tra cui il Ceo Arnaud de Puyfontaine, che sostituirebbe Giuseppe Recchi alla presidenza dell’ex monopolista telefonico italiano mantenendo “deleghe pesanti”.

(Segue...)

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