Tim/ Brasile, redditività, debito e rete unica: la soglia critica in Borsa - Affaritaliani.it

Economia

Tim/ Brasile, redditività, debito e rete unica: la soglia critica in Borsa

di Marco Scotti

Perché Tim continua a perdere valore sul listino di Piazza Affari? La domanda è tutt’altro che oziosa. Soprattutto se si pensa che ci troviamo in un periodo di lockdown “light” (che potrebbe rapidamente inasprirsi) in cui i servizi offerti da un’azienda di tlc che garantisce anche servizi accessori come contenuti in streaming sarebbero quanto mai essenziali.

Si tratterebbe dell’ingrediente perfetto per crescere in Borsa, magari per riguadagnare il valore di un euro ad azione che non si vede da queste parti dal 22 marzo del 2016. Invece, mentre scriviamo questo articolo il titolo viene scambiato sotto la soglia psicologica dei 30 centesimi, quella che gli analisti definiscono “critica”. Il punto più basso, toccato il 16 marzo di quest’anno, dista solo qualche frazione di euro e si può immaginare che verrà presto raggiunto e superato. Sì, ma perché?

Luigi Gubitosi ape 3
 

La prima e più ovvia motivazione è che la rete unica, ovvero la realizzazione insieme a Open Fiber dell’intera infrastruttura necessaria a cablare l’Italia (a proposito, è vero che c’è stato il Coronavirus, ma il ritardo rispetto all’Agenda Digitale 2020 è cospicuo), sembra un po’ più lontana. All’Europa non piace, l’Antitrust continentale e quello italiano sono piuttosto perplessi perché il rischio monopolio à la Sip-Stet è dietro l’angolo. Oltretutto, proprio l’Authority nostrana aveva comminato una sanzione da 116 milioni a Tim per aver ostacolato gli investimenti nella banda ultralarga. 

Margrete Vestager, non esattamente una “mollacchiona”, ha già inarcato più volte il suo sopracciglio, perché vuole assicurarsi che non vi sia alcun tipo di conflitto di interesse per cui chi porta la fibra nelle case degli italiani non sia poi legato a qualche operatore retail. E se Tim si fonde con Open Fiber è ovvio che chi cabla e chi vende i servizi di rete diventano sostanzialmente la stessa persona.

Certo, al momento sembra questa l’unica combinazione possibile per portare la connessione a tutto il territorio con una qualità soddisfacente. La tanto agognata Ftth, Fiber To The Home, ovvero la tecnologia che porta la fibra ottica fino in casa, al momento è appannaggio soprattutto dei grandi centri abitati. Gli altri devono accontentarsi di Fttc (Fiber To The Cabinet) cioè di una connessione che raggiunge solo gli “armadi” in strada ma che poi arriva depotenziata agli utenti domestici da un ultimo tragitto più convenzionale. Infine ci sono i dimenticati, quelli che si affidano al doppino in rame, ormai saturo, per i quali vedere un film su Netflix è diventato un autentico lusso.

Recentemente è stato pubblicato un report da parte del sito specializzato European Views che ha cercato di enucleare le principali criticità e opportunità per Tim. Ebbene, nel documento si legge che, a proposito della possibilità di un ritorno al monopolio, «c’è ancora molto da fare perché l’Italia chiuda il gap con i suoi vicini europei. Tornare indietro ricondurrebbe il paese alla situazione che ha causato le condizioni di stasi dell’infrastruttura a banda larga italiana». Non è dunque un caso che «il regolatore delle comunicazioni italiano abbia messo in guardia dal consentire a Tim di gestire un’unica entità di rete, sostenendo che un tale sviluppo sarebbe un “passo indietro”».

L’Italia è sostanzialmente un unicum nel panorama europeo, che ha avviato da tempo una strategia di deregulation. «La Francia – si legge nel report – ora vanta quattro principali operatori di fibra, mentre la rete in fibra ottica della Spagna è una storia di successo dell’UE come risultato della collaborazione dinamica tra un gruppo di quattro operatori incaricati di ottimizzare le infrastrutture e ampliare la disponibilità dei servizi a livello nazionale. Circa il 63% delle case spagnole ora ha accesso Ftth, quasi il triplo della media UE del 23%». 

Ma i problemi per Tim – nonostante l’amministratore delegato Luigi Gubitosi ostenti tranquillità – non sono certo finiti qui. In primo luogo si imputa all’azienda un’eccessiva vicinanza all’esecutivo, in un rapporto para-statale che – al di là delle doverose considerazioni sul Golden power – rischia di diventare incestuoso in un’economia di mercato. Per questo motivo, la dichiarazione del ceo nei giorni scorsi che ha detto di muoversi “sotto l’egida del governo” non è certo stata apprezzata dagli investitori.

E poi ci sono i numeri, che non mentono, e che hanno portato Standard and Poor’s a peggiorare l’outlook dell’azienda da “stabile” a “negativo”. Lo hanno fatto, poco prima di promuovere l’Italia, perché Tim ha altre due debolezze non di poco conto. La prima è la redditività in calo, perché a causa del lockdown la gente, da casa, ha iniziato a considerare possibili alternative. Tradotto: tariffe più basse, guerra dei prezzi, ricavi in calo per Tim dell’11%. Ancora: se il Brasile era la gallina dalle uova d’oro, quello che ha tenuto in piedi i conti dell’ex-Sip a lungo, oggi inizia a segnare il passo, con un calo dei fatturati dovuti anche all’effetto negativo dei tassi di cambio.

Oltre ai ricavi, si incaglia anche l’Ebitda, la marginalità delle attività core di Tim, che potrebbe portare a un peggioramento di un altro rapporto importante, quello con il debito, che deve essere portato sotto la soglia critica di 4,2 (cioè 4,2 euro di debito ogni euro di margine) pena il downgrade da parte delle agenzie di rating.