Economia
Tim, ecco che cosa può succedere dopo il 1° luglio con la cessione della rete
Conclusa la cessione della rete si apre la fase due per l'azienda: che può puntare al M&A. Ecco gli obiettivi
Tim, ecco che cosa può succedere dopo il 1° luglio con la cessione della rete
Albo signanda lapillo, dicevano i latini per indicare un giorno che meritava di essere segnato sul calendario. E dunque: il 1° luglio si dovrà stappare del vino buono per celebrare la nascita della Netco, la società che gestirà la rete realizzata da Kkr (e dal Mef) e che dovrebbe poi portare alla creazione della rete unica dopo la fusione con Open Fiber. D’altronde, i due miliardi di “earn out” previsti dal contratto con gli americani verranno corrisposti in caso di realizzazione del progetto infrastrutturale più importante degli ultimi anni. E che qualcosa succederà nelle prossime settimane è testimoniato anche dalla decisione di Fastweb di uscire da FiberCop per concentrarsi sulle interazioni con Vodafone Italia.
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Ma, dunque, sarà davvero un grande giorno? Pietro Labriola per due anni ha scommesso su questa possibilità, fin da quando – dopo la turbolenta uscita da Tim di Luigi Gubitosi – si è issato sullo scranno più alto dell’ex-Telecom e ha capito subito che il gigantesco debito non sarebbe mai stato abbattuto senza vendere l’argenteria. Davanti a lui una scelta: cedere Tim Brazil, che oggi rappresenta l’unico asset sempre fruttifero. Due esempi su tutti: un mese fa è stato presentato il bilancio trimestrale, con numeri in crescita. Ma andando ad analizzare meglio si scopre che questo avviene grazie alla crescita dell’8% delle revenue in Brasile, mentre il mercato domestico flette dell’1,3%.
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Ebitda in aumento? Sì, ma grazie alla performance record del mercato carioca, che sale dell’11,8%. Perché altrimenti si dovrebbe registrare un calo del 3,4%. E poi c’è il problema del debito, che aumenta esattamente di un miliardo e arriva a 21.370 milioni. Non ci sono molte scelte, dunque: la rete andava venduta e sarà venduta. Per fare cosa? L’idea è che una volta completata la realizzazione di ServiceCo si dovrebbe dare vita a un’azienda agile, con “pochi” dipendenti, che si occupi solo dei servizi di telefonia, perdendo invece la rete. Tra l'altro rimane ancora il tema Sparkle: il ceo vorrebbe 800 milioni, ma al momento questa cifra non l'ha offerta nessuno. Ci si arriverà, lentamente.
Labriola l’ha fatto intendere: per l’M&A ci siamo. Ma davvero? Partiamo dai dati positivi, cioè che la nuova società di servizi avrà meno della metà degli attuali dipendenti e un Ebitda da un miliardo, a fronte di ricavi vicini ai 3,5 miliardi. Numeri positivi che però hanno un grande punto interrogativo: quanto sarà il debito? Attualmente è intorno ai 30 miliardi e continua a crescere. Prima di parlare di acquisizioni, sarebbe meglio capire quale sarà il fardello. Non va mai dimenticato come si è arrivati a questo punto, con la folle opa a debito di Olivetti che di fatto ha definitivamente azzoppato Telecom. Solo così si potrà determinare se e come Tim potrà muoversi.
Con Iliad, ad esempio, è in atto un gioco delle parti. I francesi si sono sempre detti “disponibili a valutare nuove possibilità”. Tim, noblesse oblige, vuole provare a giocare la sua partita. Ma quello che è ineluttabile è che la fusione tra Vodafone Italia e Fastweb porta il mercato verso un necessario sistema di aggregazioni, l’unico possibile per reggere l’erosione dei margini nella telefonia. Un sistema che ha rincorso spesso la riduzione del prezzo dimenticando che abbiamo ora le tariffe più basse d’Europa sia per mobile che per la rete fissa. Il consolidamento degli operatori, dunque, non è più procrastinabile. Ma Tim esattamente che ruolo potrà giocare? È quello che si chiedono molti operatori. Per ora, però, non c’è risposta.