Tim, verso lo scontro in assemblea. Elliott e Vivendi schierano le truppe
Entrambi gli schieramenti potrebbero arrotondare le partecipazioni ma è improbabile che si scateni una caccia al titolo. I grandi fondi saranno corteggiati
Telecom Italia perde terreno a Piazza Affari, in attesa di vedere quando il Cda deciderà in merito all'assemblea richiesta da Vivendi per votare la rimozione di 5 consiglieri nominati dall'accoppiata Elliott Management - Cassa depositi e prestiti e la loro sostituzione con altri 5 nomi scelti dal gruppo francese, tuttora primo azionista dell'ex monopolista telefonico italiano col 23,943% del capitale davanti proprio ai fondi di Paul Singer (che detengono l'8,848% del capitale) e Cdp (socia al 4,933%). In particolare Vivendi chiede la rimozione di Fulvio Conti, Alfredo Altavilla, Massimo Ferrari, Dante Roscini e Paola Giannotti de Ponti, proponendo al loro posto la nomina di Franco Bernabè, Rob van der Valk, Flavia Mazzarella, Gabriele Galateri di Genola (attuale presidente di Generali) e Francesco Vatalaro.
Secondo indiscrezioni circolate nelle ultime ore nell'ultima riunione dell'anno, in calendario il 21 dicembre prossimo, non si dovrebbe ancora prendere alcuna posizione ufficiale, mentre è probabile che il board si esprima alla prima riunione dell'anno nuovo, che potrebbe essere anticipata al 14 gennaio, rispetto al 17 gennaio indicato da Vivendi e segnalato da una nota dello stesso Cda di Tim come data in cui era già stato calendarizzato l'esame della prima richiesta (la rimozione di 5 consiglieri).
Tre date alternative per una decisione cruciale: posto che il Cda "svolgerà le opportune valutazioni sulla richiesta, in vista dell'assunzione delle determinazioni di competenza", a meno che il board non giudichi gli argomenti addotti da Vivendi "indeterminati, illeciti, impossibili o estranei alla competenza assembleare" ovvero valuti la di convocazione dell'assemblea "immotivata, inutilmente ripetitiva, atta a pregiudicare gli interessi della società" o presentata "al solo fine di perseguire intenti dilatori o di mero disturbo" (esponendosi però al rischio di essere denunciato da Vivendi al Tribunale di Milano ex art. 2409 ("gravi irregolarità") ed eventualmente ad un'azione di responsabilità, l'assemblea dovrà essere convocata "senza ritardo" secondo quanto prevede la legge.
A quel punto cosa può succedere? Vivendi ha pagato 4,2 miliardi di euro la sua partecipazione che ora in borsa vale poco più di 2,7 miliardi ed è notoriamente contraria allo scorporo della rete fissa, ipotesi che invece il governo italiano sembra accarezzare per dare vita a un gestore unico con il conferimento delle reti di Tim e di Open Fiber (nel cui azionariato Cdp è socia al 50% tremite Cdp Equity, l'altro 50% facendo capo ad Enel) ad una Newco. Bolloré potrebbe arrotondare forse di un altro punticino la quota, sino a sfiorare il 25%, investendo 110-120 milioni di euro, più probabilmente però cercherà di fare breccia tra gli "azionisti silenziosi" di Tim, ossia i grandi fondi internazionali che nel complesso detengono attorno al 55% del capitale della società.
Elliott, che fino a qualche tempo fa sembrava poco interessato a esporsi ulteriormente, dopo le ultime dichiarazioni dei vertici di CdP (e del vicepremier Luigi Di Maio), dettisi intenzionati a non salire oltre l'attuale 4,933%, potrebbe a sua volta cercare di racimolare qualche titolo, ma visto che mediamente in borsa si scambia ogni giorno attorno o poco più dell'1% del capitale di Tim, difficilmente avrebbe un grande spazio di manovra per salire a sua volta poco oltre il 10%. E quindi anche in questo caso l'unica soluzione sembrerebbe riuscire a convincere i grandi fondi a sostenere l'attuale Cda e l'operazione di scorporo e "valorizzazione" della rete fissa.
Come andrà a finire? Al di là delle voci che vogliono alcuni operatori (si è parlato di Andrea Bonomi) già intenti a rastrellare con grande discrezione qualche titolo per poi apportarli all'uno o all'altro fronte, i più "corteggiati" saranno inevitabilmente gli asset manager maggiormente esposti verso Tim, come Caixabank Asset Management (oltre 281 milioni di azioni in portafoglio, pari ad oltre l'1,83% del capitale), BlackRock (che nel complesso ha quasi 278 milioni di titoli, l'1,83% circa) Vanguard Group (oltre 266 milioni, l'1,75%), Baader Bank (195 milioni, l'1,28%), Invesco Asset Management (quasi 185 milioni, l'1,21%), Dimensional Fund Advisors (155 milioni, circa l'1%), Harbor Capital Advisors (che dovrebbe ancora avere poco meno di 120 milioni di titoli, lo 0,79%) o Mediolanum Gestione Fondi (poco più di 100 milioni, lo 0,67%
Questi "magnifici otto" da soli hanno in portafoglio titoli Telecom Italia pari ad oltre il 10% del capitale e non è detto votino compatti a favore solo di uno dei due contendenti. Quel che è certo è che la "proxy fight" (la battaglia per assicurarsi le deleghe di voto o quanto mano l'appoggio in assemblea alla propria proposta) sta già iniziando a scaldare gli animi, se non ancora le quotazioni, tuttora quasi un 25% al di sotto dei valori di fine 2017. Il 2019 si aprirà all'insegna di un rally di borsa per il titolo Telecom Italia? L'ipotesi in fondo potrebbe non dispiacere troppo né a Vivendi né a Elliott e ai relativi alleati.
Commenti