Economia
Trovati solo 366mila posti di lavoro. Il RdC e il fallimento dei navigator
Dall’abolizione della povertà all’assegno ai mafiosi
«Abbiamo abolito la povertà» gridava un euforico Luigi Di Maio dal balcone dopo la definitiva approvazione del reddito di cittadinanza. Quella foto, divenuta uno dei meme più efficaci dell’internet nostrano, si è rapidamente trasformata in un boomerang, con avversari politici interni ed esterni pronti a ricordare al vicepremier, ministro del lavoro, ministro dello sviluppo economico e ora ministro degli Esteri che qualcosa era andato storto. Prima di tutto, però, spazio alle buone notizie: i 2.700 navigator che rischiavano di rimanere a spasso - un paradosso fantastico - dovrebbero essere riassorbiti in modo da aiutare i vecchi e nuovi percettori del RdC a trovare un lavoro.
La pandemia lascerà il segno, questo è un dato di fatto: quanto, però, è difficile dirlo. E questo per almeno due motivi fondamentali: in primo luogo perché il popolo di santi, poeti e navigatori lo è anche di… evasori. E dunque, chi sa con certezza quanti sono quelli veramente sotto la soglia di povertà? Sono molteplici le categorie che per decenni hanno continuato a dire “signora, con o senza fattura?” sottintendendo uno sconto che oggi rischia di ritorcersi contro tutta la collettività. Perché gli evasori da un lato non hanno potuto percepire gli indennizzi commisurati al reale calo di fatturato proprio perché hanno sempre dichiarato molto meno di quanto incassato; dall’altro perché ora risultano molti di più quelli che potrebbero avere diritto al RdC. Non se ne esce. Il secondo problema è l’effettiva efficacia degli strumenti di “argine”: il blocco dei licenziamenti, la cassa integrazione, la sospensione delle bollette e dei mutui. Se tutte queste misure dovessero terminare il 31 marzo - e prima o poi dovranno per forza concludersi - si rischia di ritrovarsi improvvisamente con un’onda lunga di ulteriori poveri, con la necessità di ampliare i denari già stanziati.
Ad oggi, secondo il centro studi Unimpresa, tra il 2020 e il 2022 il reddito di cittadinanza costerà 26 miliardi di euro, per soddisfare le esigenze - ma questo prima dell’avvento della pandemia da Coronavirus - di circa tre milioni di persone. I dati sono un po’ a spanne perché dopo 18 mesi consecutivi di ricevimento si perde il diritto a ottenerlo. Ma finora, dal 31 gennaio 2019, ci sono stati 1,3 milioni di nuclei coinvolti e - appunto - tre milioni di persone. Secondo l’Inps, a ottobre il numero di beneficiari era aumentato del 25%, mentre l’importo medio è di 563 euro. Ma c’è già chi è pronto a rinforzare la dotazione: la ministra Catalfo, sempre più in bilico, sembra voler sfidare Renzi quando annuncia a Repubblica che la dotazione aumenterà tra gli 800 milioni e il miliardo. D’altronde, dice lei, «è l’unico strumento per contrastare la povertà» oggi in Italia.
Fin qui i freddi numeri non danno un’immagine precisa di che cosa sia il RdC: una “mancetta elettorale” come in molti l’hanno definito? O uno strumento che ridà dignità alle persone? E perché l’indennità di disoccupazione, rivista dal precedente esecutivo, non andava più bene? Ancora una volta, come in un gigantesco gioco dell’oca, si torna al principio, a quei navigator che, a regime, dovrebbero essere oltre 11mila ma che per ora combattono per conservare il loro posto di lavoro. Il reddito di cittadinanza serve a trovare un impiego e, nel mentre, a garantire una soglia minima di sussistenza. Ebbene: su tre milioni di persone coinvolte complessivamente dal provvedimento, a oggi sono stati trovati 366mila posti di lavoro. Non pochi in valore assoluto, ma in poco meno di due anni di operatività si tratta di una cifra quasi trascurabile se si pensa alla platea coinvolta.
Di chi è la colpa? Sarebbe troppo facile scaricarla solo sulla politica, che pure ha la sua enorme responsabilità di aver complicato il tutto tra odiosi anglicismi e procedure cervellotiche. Ma le istituzioni hanno una fetta significativa di responsabilità. Intanto, perché sono tre i soggetti chiamati a collaborare (e a Roma si direbbe “ciao core”): Inps, Anpal - ovvero l’Agenzia Nazionale Politiche Attive Lavoro - e i centri per l’impiego. Un vero girone infernale che ha prodotto veri e propri obbrobri. Non c’è modo diverso per chiamare criminali, mafiosi, ndranghetisti che hanno percepito - in modo ovviamente illecito - il reddito di cittadinanza. Una truffa ai danni dello stato che è però stata possibile perché tra le mille teste che dovrebbero reggere questo sistema si perdono le responsabilità nei rivoli dei “silos” individuali. E dunque a Messina, a Reggio Calabria, a Palermo, boss pluripregiudicati per reati gravi - e dunque non adatti a ricevere il reddito - che avevano la loro bella tessera gialla in mano. Un assurdo.
Ma le vicende bizzarre non finiscono qui. Chi si ricorda di Mimmo Parisi? Si tratta di un professore italo-americano dell’università del Mississipi, forte di un curriculum di 16 pagine (roba che neanche Oppenheimer) a capo dell’Anpal e che ha dato vita a una piattaforma costosissima, Italy Works, per mettere insieme domanda e offerta. A occhio, qualcosa dev’essere andato storto se i boss hanno potuto avere il reddito di cittadinanza, ma non è il caso di lanciarsi in facili umorismi. Più preoccupante il tema relativo ai costi: il Movimento 5 Stelle mise a budget 25 milioni per la realizzazione di questa piattaforma nonostante una consulenza privata valutasse l’intera struttura meno di un milione.
La figura di Parisi è quantomeno controversa, ma ha saputo mettere d’accordo Lega e Pd nel chiederne la testa. Ed entrambi i partiti sacrificherebbero volentieri anche la ministra Catalfo, che invece continua a proteggerlo. Nel frattempo sono emersi altri due “dossier” sul suo conto: rimborsi spese per complessivi 160mila euro, che esulano dai 25 milioni stanziati per la realizzazione di Italy Works; e il suo ruolo all’università del Mississipi. Parisi sostiene di essere in aspettativa, mentre chi ha provato a indagare ha scoperto che avrebbe ridotto il suo impegno portandolo a “part-time”. Ma si tratta di un ruolo incompatibile con quello di numero uno dell’Anpal. Lui, per ora, rimane al suo posto. I navigator, anche. E gli italiani che si troveranno presto senza più un lavoro? Forse conviene seguire l’esempio di Di Maio, ed emigrare… agli Esteri.