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Economia
UniCredit, aderire all'aumento? Ecco come far soldi con i diritti


Qualche incertezza in più mostrano Carimonte, Manodori, CrTiestre, Cassamarca e Fondazione Sicilia, complessivamente attorno al 4,5% del capitale. Quasi certa l’adesione, pro-quota, da parte di tutti o quasi i fondi presenti nell’azionariato a partire da Aabar (5% del capitale), Capital Research (ormai al 7,4%) e Blackrock (4,8%), come pure di Leonardo Del Vecchio (1,7% circa) e Francesco Gaetano Caltagirone (appena sotto l’1%), interessati anche alla partita che ruota attorno a Mediobanca e Generali. Di fatto l’aumento renderà la banca ancora più una “public company” modificando la composizione del Cda (che da 17 si ridurrà a 15 consiglieri con solo più un vicepresidente), il cui rinnovo è peraltro in calendario l’anno venturo, ma potrebbe essere accelerato. Sullo sfondo resta l’ipotesi che approfittando dell’aumento tra i nuovi soci di appalesi un nuovo “socio forte”, magari straniero.

Da mesi circolano voci su un possibile interesse di Societe Generale, presieduta dal banchiere fiorentino Lorenzo Bini Smaghi (ex membro del board Bce) e che in borsa capitalizza il doppio di Unicredit (37,1 miliardi di euro contro i 16,4 della banca italiana). La banca francese era arrivata a un passo dall’essere rilevata da Unicredit nel 2008, quando alla guida di Unicredit c’era Alessandro “il grande” Profumo, ma non se ne era poi fatto nulla, complice l’esplodere della crisi finanziaria mondiale. Secondo alcuni analisti, Societe Generale e Unicredit sarebbero complementari: di certo se il gruppo francese riuscisse ad assicurarsi il controllo di quello italiano qualcuno potrebbe gridare alla definitiva conquista dell’Italia da parte di una Francia che ha già centrato in questi ultimi anni “colpi” come Bulgari, Pioneer Asset Management e Telecom Italia e che sta provando a vincere anche le partite su Mediaset e su Generali.

Una conquista che porterebbe in mani straniere altri 50 miliardi di titoli di Stato italiani, nel portafoglio di Unicredit, dopo i 30 miliardi già “persi” con la cessione di Pioneer Asset Management ad Amundi che hanno portato a quota 100 miliardi i Btp detenuti da investitori francesi. Se poi a questi si sommassero anche i 70 miliardi in portafoglio a Generali si arriverebbe alla cifra di 220 miliardi, superiore al 10% del debito pubblico: qualcuno a Roma potrebbe iniziare a sudare freddo, ma questa è un’altra storia. 

Luca Spoldi

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