Economia
Unicredit, le fondazioni stanno con Mustier: 416 milioni tra il 2020 e il 2023
La prevista restituzione di 8 miliardi agli azionisti nel quadriennio 2020-2023 sembra far breccia nel cuore dei vertici delle fondazioni socie
Il piano di Jean-Pierre Mustier che prevede l’ulteriore ristrutturazione dell’attività di Unicredit, con la chiusura di 500 filiali e il taglio di 8 mila posti di lavoro (rispetto ai 10 mila ipotizzati fino a poche settimane fa), di cui circa 450 filiali e 2 mila esuberi concentrate in Italia, non piace come prevedibile ai sindacati e alla politica, ma trova sostegno oltre che dal mercato (dopo l’annuncio del piano in titolo ha recuperato in borsa il 3% in 4 sedute) anche di alcuni dei suoi soci storici.
Si tratta in particolare delle fondazioni bancarie, che prima della crisi del 2008 controllavano il 12,5% del capitale e sono poi gradualmente calate fino al 5,2% complessivo attuale. Una quota che dovrebbe consentire loro di vedersi restituire circa 416 milioni di euro tra dividendi e buy-back nel corso del prossimo quadriennio. Le primissime dichiarazioni sono già arrivate.
Giovanni Quaglia, presidente di Fondazione Crt (socia all’1,65% di Unicredit), ha definito il piano “coraggioso, ambizioso, buono nel voler incrementare la redditività che negli anni non è stata particolarmente brillante”. Questo nonostante qualche analista abbia espresso dubbi circa l’opportunità di cedere ulteriori attività (in particolare Yapi Kredi), scelta fatta da Mustier per sottrarsi alla volatilità e rafforzare ulteriormente il patrimonio, ma rischia di pesare sulla capacità reddituale del gruppo, che infatti ha scelto di tagliare ulteriormente i costi per cercare di migliorare i margini, non prevedendo di riuscire a incrementare significativamente i ricavi negli anni a venire.
Alessandro Mazzucco, presidente di Fondazione Cariverona (1,8% di Unicredit), per ora tace ma già nei mesi scorsi aveva più volte auspicato “una manovra straordinaria” che desse “attenzione, visibilità, attrattività” all’istituto. Caratteristiche che il piano di Mustier dovrà dimostrare di possedere, ma che forse Mazzucco sottintendeva essere legate ad un’eventuale acquisizione “non solo in Francia, ma anche Inghilterra o in Spagna”, quando si fossero realizzate “delle situazioni che possono consentire una iniziativa di questo genere”, cosa che per ora il Ceo di Unicredit continua a non ritenere possibile.
Silenzio per ora anche dai vertici di Fondazione Cassa di risparmio di Modena e di Fondazione Del Monte di Bologna e Ravenna cui Carimonte Holding (un tempo socia al 3,1%), dopo aver ceduto parte dei titoli in portafoglio tra fine 2016 e inizio 2017, aveva rigirato ciò che restava della partecipazione prima del maxi aumento di capitale da 13 miliardi perché decidessero autonomamente cosa fare.
Le due fondazioni decisero di rimanere (la prima dovrebbe avere uno 0,5% di Unicredit, la seconda poco più dello 0,1%), come pure una manciata di altre fondazioni minori cui dovrebbe ancora far capo poco più dell’1,1% del capitale dell’istituto guidato da Mustier. Che col nuovo piano “Team 23” ha previsto la restituzione ai soci di 8 miliardi di euro (6 miliardi tramite dividendi, 2 miliardi grazie al buy-back) nell’arco di piano. Soldi preziosi per le attività di promozione della cultura e del territorio che caratterizza da sempre le fondazioni bancarie italiane.
Sostenere Mustier e restare soci consentirà a Fondazione Cariverona di vedersi restituire nel prossimo quadriennio 144 milioni di euro (in media 36 milioni di euro l’anno, contro i 10,8 milioni di dividendi incassati quest’anno), mentre 132 milioni (circa 33 milioni l’anno) finiranno nelle casse di Fondazione Crt, una quarantina di milioni (una decina l’anno) in quelle di Fondazione Cassa di risparmio di Modena, 8 milioni circa in quelle di Fondazione Del Monte di Bologna, una novantina in tutto in quelle delle restanti fondazioni.
Visto il permanere di tassi prossimi a zero sul mercato obbligazionario e la storica difficoltà dimostrata dalle fondazioni bancarie nel massimizzare la redditività dei propri portafogli di partecipazioni azionarie, sembrano dunque esservi 416 milioni di buone ragioni perché questi azionisti storici possano schierarsi in difesa del piano di Mustier.