Economia

Usa in pressing sulla web-tax italiana. Trump: pronti i dazi sull'auto europea

Luca Spoldi e Andrea Deugeni

Chi aveva paventato che nel 2020, anno in cui Donald Trump si gioca la rielezione alla Casa Bianca, l’Europa potesse finire nel mirino del presidente americano subito dopo la sigla dell’accordo commerciale di Fase Uno con Pechino è stato facile profeta. Parlando a Davos, Trump oltre a criticare la Federal Reserve (per come ha alzato “troppo rapidamente” i tassi e li ha poi ridotti “troppo lentamente”) e i “pessimisti climatici” (“come se ciò che stiamo vedendo ora con i nostri occhi non esistesse” ha ribattuto il premio Nobel per l’economia, Joseph Stiglitz), ha citato gli accordi commerciali raggiunti questo mese con la Cina e il Messico come un modello per il ventunesimo secolo.

LP 8312598
 

Per meglio far comprendere il suo punto di vista, “the Donald” ha poi aggiunto in un'intervista al Wall Street Journal: i negoziatori europei “sanno che imporrò dei dazi se non facciamo un accordo che sia un accordo equo”, termine che molti analisti spiegano che per il presidente Usa significhi “stile Nafta”. A chi gli chiedeva se fosse stata fissata una scadenza per i negoziati oltre la quale far scattare i dazi, il presidente americano ha risposto “gli europei sanno qual’è”. Formalmente, in realtà, il termine entro cui il presidente Usa avrebbe dovuto decidere se far scattare o meno dazi del 25% sulle auto e sui componenti per auto importati dall’Europa è già scaduto, il 13 novembre scorso, ma Trump, concentrato sulla chiusura di un primo accordo con Pechino, aveva preferito rinviare lo scontro.

LP 8651264
 

Una decisione sulla quale aveva pesato anche l’offerta, lasciata filtrare da alcune fonti vicine al presidente, avanzata dai produttori tedeschi per creare altri 25 mila nuovi posti di lavoro nelle loro fabbriche negli Stati Uniti pur di evitare ritorsioni commerciali che Trump minaccia per riequilibrare uno squilibrio commerciale Usa-Ue che nel 2018 è stato di 169 miliardi di dollari a favore del vecchio continente. Formalmente però Trump si appoggia ai risultati di un’indagine del Dipartimento al Commercio americano secondo cui le ingenti importazioni da Europa e Giappone possono minacciare “la superiorità tecnologica dell’automotive Usa nel lungo termine” e in ultima analisi rischiano di avere un impetto anche sull’industria della difesa.

La precedente Commissione Ue aveva già respinto al mittente le accuse americane (fotocopia di quelle addotte per giustificare l’adozione dei dazi sull’import di acciaio e alluminio), sottolineando come “l’industria Ue e Usa sono specializzate in segmenti di mercato ampiamente differenti” e, per di più, “negli ultimi 5 anni le importazioni dall’Ue sono state stabili e correlate alla crescita generale del Pil Usa”. Non solo: già ora i produttori europei forniscono lavoro ad oltre 120 mila operai coi loro impianti, oltre a garantire altri 420 mila posti di lavoro nell’indotto. 

Non c’è nessuna minaccia alla sicurezza nazionale da parte delle importazioni auto e di pezzi di ricambio”, concludeva un rapporto inviato un anno e mezzo fa da Bruxelles a Washington, semmai “misure commerciali restrittive” che fossero applicata dagli Usa mancherebbero di legittimità, di basi fattuali e “sarebbero contrarie alle regole internazionali”. Ma al presidente americano, sotto rischio di impeachment in casa (per i mercati finora un “non evento”) e con la necessità di far percepire alla propria base elettorale delle vittorie “di sostanza” nei confronti aperti con praticamente ogni altra potenza commerciale planetaria, le repliche degli europei non sono bastate

Per riporre nel cassetto la minaccia di dazi Trump pretende, oltre a maggiori investimenti negli Usa da parte dei produttori esteri, una maggiore apertura alle esportazioni agricole americane (come già ottenuto da Cina e Giappone), ma anche a quelle di carne e vini, in barba ai tentativi europei di difendere la qualità delle sue produzioni e i suoi mercati dall’invasione del cibo industriale a stelle e strisce. Ultimo ma non meno importante capitolo del confronto riguarda la sfida tra Boeing e Airbus (accusata di essere pesantemente sussidiata dai governi europei) e l’odiata web-tax che punta a mantenere nei paesi in cui viene prodotto parte del reddito generato dai “Fang” (Facebook, Amazon, Netflix e Google) americani. Una tassa in cui dopo aver ricondotto la Francia a più miti consigli (compromesso stilato sullasospensione della digital tax, a detta del ministro francese Le Maire, fra Trump e Macron), gli Usa hanno puntato l'attenzione su Italia e Regno Unito, auspicando che entrambe sospendano i progetti di introduzione di un'imposta  sui big del digitale.

Se non lo faranno, ha minacciato oggi il segretario al Tesoro Steven Mnuchin in un'intervista al Wall Street Journal nel corso di un evento al World Economic Forum di Davos, si troveranno a loro volta ad affrontare delle tariffe da parte degli Stati Uniti. Agli occhi di Trump, che vede mondo come un’arena in cui ogni stato compete contro gli altri in un gioco a somma zero anziché come una comunità di nazioni in cui possano svilupparsi interessi comuni e condivisi, la Ue resta “come la Cina, ma più piccola”. Per il vecchio continente questo significa che il rischio di danni per miliardi di euro è concreto, anche se non tutti i paesi membri della Ue lo subiranno in ugual misura. A seconda delle diverse stime diffuse nei mesi scorsi, la Germania potrebbe perdere da 4,5 a 19 miliardi di export annuo verso gli Usa, la Ue fino ad un massimo di 29 miliardi.

L’Italia, che vede dirigersi verso gli Usa il 25% delle proprie esportazioni dirette (il 33,5% considerando componenti venduti a Germania o altri paesi Ue utilizzati in prodotti poi esportati negli States) rischia di subire a sua volta un pesante contraccolpo. L’export di soli mezzi di trasporto dal nostro Paese verso gli Usa valeva 9 miliardi di euro a fine 2018, quello di componenti esportati in Germania altri 4,1 miliardi. Ipotizzando uno “spiazzamento” della domanda proporzionale agli eventuali dazi introdotti significherebbe mettere in conto un calo di quasi 3,3 miliardi, ma nessuno sa al momento dire se realmente è questa la cifra in gioco o se si troverà il modo di limitare i contraccolpi del nuovo braccio di ferro commerciale.  

Gli Stati Uniti stanno negoziando per trovare un "grande" accordo commerciale con l'Ue, ha detto Trump. Europei avvisati.