Economia

Via la Tasi su prima casa, come si finanziano i comuni?

Claudia Ferretti e Patrizia Lattarulo

I comuni non si sono opposti all’eliminazione della Tasi perché era percepita in modo molto negativo dai cittadini. Il meccanismo di compensazione per il mancato gettito si fonda però sulle scelte del passato e toglie spazi di manovra agli enti. In attesa di stime condivise dei fabbisogni standard.

Le ragioni dell’esenzione

L’abolizione della Tasi (tassa sui servizi indivisibili) non risponde propriamente a criteri di maggiore equità della tassazione locale, in altre parole non è una manovra redistributiva. Certamente, non va in questa direzione l’estensione dell’esenzione rispetto alle misure già sperimentate con l’Imu sulla prima casa, cioè i 200 euro per abitazione a cui si aggiunge una somma legata al numero dei figli.
La scelta politica dell’attuale governo è di riconoscere alla casa un valore primario, il cui diritto va salvaguardato per tutti i cittadini. A una scelta di questo tipo contribuisce l’ampia diffusione della proprietà dell’abitazione nel nostro paese. Tanto più che per le famiglie il costo della casa è molto alto, sia quando pagano un affitto sia quando si trovano a dover sostenere un mutuo per il suo acquisto: in entrambi i casi, impegnano mediamente in questa voce di spesa un quinto del reddito.

La patrimoniale non è una imposta con finalità redistributive, ma con finalità di service tax, e la ratio dell’intervento di esenzione sta nella universalità del diritto alla casa. Certamente, la misura è più politica che tecnica, anche per gli importi in definitiva modesti dei prelievi.

Mancato gettito e autonomia fiscale

Ne nascono però due importanti questioni legate, da un lato, alle misure di compensazione del mancato gettito ai comuni, dall’altro alla diminuita autonomia fiscale degli enti. Sul primo punto, la scelta della legge di stabilità prevede la compensazione totale del mancato gettito: ai comuni verrà rimborsato sia il gettito standard che quello derivante dalle loro manovre fiscali. Pertanto, ogni ente si vedrà riconosciuto quanto dovuto sulla base della capacità fiscale dei territori, ma anche quanto dovuto sulla base delle strategie fiscali pregresse. Dal Fondo di solidarietà comunale transiterà quindi un importo compensativo pari a 3,7 miliardi di euro, a risarcimento della perdita della Tasi per l’abitazione principale e dell’Imu sui terreni agricoli.

Il Fondo, nato per bilanciare le diverse basi imponibili del territorio, torna a essere in larga parte attivato dai trasferimenti dello Stato e sostanzialmente commisurato alle politiche fiscali passate degli enti: i comuni con imposte più elevate vengono, così, premiati con maggiori trasferimenti dallo Stato negli anni successivi. La stessa norma prevede la progressiva introduzione del criterio dei fabbisogni standard e della capacità fiscale nell’assegnazione dei trasferimenti, ma i metodi di calcolo non sono ancora completamente condivisi.
La seconda questione che si pone per i bilanci degli enti e per i cittadini riguarda, invece, i ridotti margini di autonomia fiscale dei comuni. Non disponendo più della Tasi, infatti, i comuni che avevano aliquote basse rinunciano al gettito potenziale per un importo, che per esempio in Toscana è pari al 23 per cento del gettito attuale (65 milioni).

Si può immaginare, inoltre, che gli enti che avevano basse aliquote e ora si trovano penalizzati dai trasferimenti, possano tentare di compensare il divario attraverso l’utilizzo dei margini di manovra su altri cespiti, ad esempio le altre abitazioni. L’ipotesi è stata vietata dal governo, che non vuole vedere vanificato l’intervento sulla proprietà abitativa. Infatti il peso del prelievo sulle abitazioni diverse da quella principale è già molto elevato e le seconde case nel nostro paese non sono necessariamente un bene di lusso. Il 30 per cento dei proprietari di una abitazione ne possiedono anche almeno una seconda.figura2lattarulo

Una possibile soluzione, per non creare disparità che si consolidano, potrebbe essere quella di compensare il gettito effettivo a livello nazionale (i 3,7 miliardi di euro persi) e distribuirlo tra i singoli enti attraverso un sistema commisurato alla capacità fiscale standard del singolo ente anziché al gettito locale effettivo. Il criterio, che dovrebbe garantire una redistribuzione più uniforme sul territorio, potrebbe lasciare ai comuni eventuali successivi interventi di riequilibrio.

da lavoce.info