Economia

Web tax, la tassa non si vede, ma c'è. Risolto il giallo. Cos'è successo

Lorenzo Lamperti e Andrea Deugeni

Fonti del Mef confermano ad Affari il varo del nuovo tributo il prossimo anno. Passaggio tecnico dal dl fiscale all ddl Bilancio. Conte non si inchina a Trump

Nessuna scomparsa della web o digital-tax per errori politici “mastodontici”, per dirla alla Gianluigi Paragone, senatore riottoso del M5S. Solamente un "passaggio per motivi tecnici", maturato nella girandola di incontri sulla manovra fra le forze della maggioranza, dal decreto legge fiscale (che dovrebbe arrivare in Gazzetta il 24 ottobre) al disegno di legge di bilancio. 

La tassa sui servizi digitali che si applicherà a tutte le società con soglie di ricavi complessivi oltre 750 milioni di cui 5,5 per servizi digitali locali partirà infatti dal primo gennaio del 2020.

Fonti del Ministero dell’Economia confermano ad Affaritaliani.it che il prossimo anno entrerà in vigore il nuovo tributo e spiegano che lo spostamento è stato dovuto solamente al fatto che nel decreto vanno inserite le misure che hanno il requisito costituzionale della “necessità” e dell’”urgenza”.

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Entrando in vigore la web-tax, come tutte le misure previste nella manovra economica, all’inizio del 2020, sono venuti meno dunque i presupposti dell’inserimento della norma nel decreto.



Confermato anche l’impianto del nuovo tributo. L'imposta si applica sui ricavi realizzati nell'anno solare, a decorrere dal 2020, fatturato (per le soglie si farà riferimento a quelli conseguiti nell’anno precedente a partire dal 2020) che è il prodotto della totalità dei ricavi derivanti dai servizi digitali ovunque realizzati per la percentuale rappresentativa della parte di tali servizi collegata al territorio dello Stato (attraverso l’indirizzo di protocollo internet - IP- del dispositivo stesso o, in caso non sia disponibile, in altro sistema di geolocalizzazione).

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La digital-tax, pari all’aliquota del 3% sui ricavi, dovrà essere liquidata su base annuale il 16 febbraio dell’anno successivo a quello dell’esercizio chiuso, durante il quale peraltro la società contribuente dovrà tenere una contabilità dedicata dei servizi digitali imponibili e presentare poi la dichiarazione relativa il 31 marzo di ogni anno.

È prevista poi la nomina di un rappresentante fiscale per l'assolvimento degli obblighi dichiarativi e di pagamento dell'imposta per i soggetti non residenti privi di stabile organizzazione nel territorio dello Stato, stabiliti in uno Stato non Ue con il quale l'Italia non ha accordi di assistenza reciproca per il recupero dei crediti fiscali. Il gettito atteso è di 600 milioni, ma potrebbe salire oltre i 700 milioni.

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Una cifra dunque ben superiore in proporzione a quanto le società regine del tech, come Amazon, Google, Instagram, Facebook e Twitter, hanno versato in Italia nell'ultimo anno: 14,3 milioni di imposta, solo lo 0,01% del totale versato dalle società nel nostro Paese.

Secondo l’ultimo rapporto di Mediobanca sui bilanci delle multinazionali, le 21 big corp del web&software nel 2018 hanno dichiarato da noi un fatturato di 1,8 miliardi di euro e pagato tasse per 60 milioni, il 3,3% del totale.

L'Italia sembra dunque tenere il punto senza inchinarsi alle richieste degli Stati Uniti. Tra i vari capitoli aperti nelle relazioni tra Washington e Roma, infatti, figura anche la web tax, oltre a dazi, 5G, Via della Seta, F-35, spese militari e Russiagate con il report sui viaggi in Italia del procuratore generale William Barr che sarebbe pronto per essere pubblicato. Anche durante l'incontro di qualche giorno fa alla Casa Bianca, Donald Trump ha menzionato il tema con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

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In quell'occasione il presidente degli Stati Uniti ha ribadito che gli States preferiscono "una soluzione globale" e non tante soluzioni nazionali unilaterali, che secondo la Casa Bianca potrebbero arrecare troppi svantaggi competitivi nei confronti dei big player made in Usa. Mattarella ha ascoltato e registrato le parole di Trump, così come ha fatto anche sugli altri dossier aperti con lo storico alleato d'Oltreoceano, ma come ha dimostrato nella conferenza stampa post incontro non si è inchinato.

Fermo restando che le decisioni politiche spettano al governo Conte e non certo al capo dello Stato, sembra proprio che l'Italia abbia deciso di adottare una linea dialettica con gli Stati Uniti. Un'Italia certamente non antagonista agli Stati Uniti, ma nemmeno mera esecutrice dei loro desiderata. Anche a fronte delle minacce di ritorsione da parte di Trump. Ecco che allora la web tax potrebbe diventare un'arma negoziale da sfruttare nelle prossime settimane nella trattativa sui dazi Usa ai danni dei prodotti europei. 

Lo slittamento al ddl Bilancio permette al governo di prendere tempo e cercare di arrivare a quella normativa universale, comunitaria o addirittura globale, che chiede a gran voce la Casa Bianca e che potrebbe evitare una escalation nei rapporti commerciali con Washington, che nel frattempo continua a monitorare da vicino le prossime mosse sul 5G. Mosse controllate molto attentamente anche da Pechino.

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