Spettacoli

Il film capolavoro “Rapito” di Bellocchio trionfa ai Nastri d’Argento

di Simone Rosti

Stanchi delle rievocazioni del periodo fascista e dintorni, Bellocchio ha scelto di tornare su un fatto di cronaca avvenuto a Bologna nel 1858

Il fatto di cronaca ebbe una tale cassa di risonanza fra le cancellerie europee che da lì a poco il potere temporale della Chiesa sarebbe definitivamente tramontato e con la breccia di Porta Pia, che sancì l’annessione di Roma al Regno d’Italia, finì lo Stato pontificio. In questo contesto si snoda il potentissimo film di Bellocchio: dalla regia agli attori (uno più bravo dell’altro), dalla colonna sonora alla sceneggiatura. Decine di personaggi si susseguono, uno più caratterizzato dell’altro.

Pensiamo al Papa (Pio IX), una figura sprezzante, che crolla di fronte agli eventi anche in una simbolica crisi epilettica. Uno dei fratelli di Edgardo incredulo di fronte alla conversione definitiva del fratello senza possibile via del ritorno nonostante la fine dell’autorità pontificia. I genitori di Edgardo combattuti fra la sottomissione al potere della chiesa di Roma e la velleità di tenere una famiglia unita.

La domestica che col suo fare bonario, e con apparente buona fede, nasconde la corruzione della quale si è resa artefice mentendo sul battesimo di Edgardo. Tante le metafore che mette in scena Bellocchio come, ad esempio, il Cristo che lascia la croce per incamminarsi quasi a voler rifuggire l’insopportabile. C’è anche spazio per un processo che non sembra molto lontano da certi vizi dei nostri giorni.