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Kirk Douglas è morto. Se ne va a 103 anni il mito di Hollywood
KIRK DOUGLAS ADDIO. CINEMA IN LUTTO PER LA MORTE DEL TITANO DI HOLLYWOOD CON RECORD DI LONGEVITA'
Kirk Douglas è morto. Se ne va a 103 anni il mito di Hollywood
E' morto Kirk Douglas, leggenda di Hollywood. L'attore aveva 103 anni.
Kirk Douglas è morto. Il figlio Michael: "Papà, ti amo così tanto e sono così orgoglioso di essere tuo figlio"
Il figlio Michael Douglas ha scritto su Instagram: "È con tremenda tristezza che io e i miei fratelli annunciamo che Kirk Douglas ci ha lasciato oggi all'età di 103 anni. Per il mondo era una leggenda, un attore dell'età d'oro dei film, il cui impegno umanitario per la giustizia e le cause in cui ha creduto hanno fissato uno standard a cui tutti aspiriamo". "Ma per me, i miei fratelli Joel e Peter era semplicemente papà - si legge nel post - per Catherine, un meraviglioso suocero, per i suoi nipoti e pronipote, il loro nonno amorevole, e per sua moglie Anne, un marito meraviglioso". "La vita di Kirk è stata ben vissuta - scrive Michael Douglas - e lascia un'eredità nel cinema che durerà per le generazioni a venire, e una storia come un famoso filantropo che ha lavorato per aiutare la gente e portare la pace sul pianeta. Vorrei concludere con le parole che gli ho detto durante il suo ultimo compleanno e che rimarranno sempre vere. Papà, ti amo così tanto e sono così orgoglioso di essere tuo figlio. #KirkDouglas".
KIRK DOUGLAS ADDIO. CINEMA IN LUTTO PER LA MORTE DEL TITANO DI HOLLYWOOD CON RECORD DI LONGEVITA'
Titano di Hollywood, con il suo record di longevità, con tre nomination all'Oscar, che poi vincerà solo alla carriera nel 1996, Kirk Douglas ha interpretato quasi 90 film, legando la sua fama a memorabili titoli come "Sfida all'O.K. Corral" (1957), "Orizzonti di gloria" (1957) e "Spartacus" (1960), entrambi diretti da Stanley Kubrick. Caratterizzato da una personalità tormentata, dominata da una forte ambizione animata da un incessante desiderio di autoaffermazione, Douglas, divo dal temperamento difficile e spregiudicato, temprato da saldi principi democratici, all'inizio degli anni Cinquanta divenne uno dei nomi più prestigiosi e contesi dalle majors, con le quali ebbe sempre un rapporto contrastato. Per il suo fisico asciutto e atletico, con la mascella piatta, lo sguardo duro e beffardo e con l'inconfondibile fossetta sul mento, Duglas ebbe l'opportunità di ricoprire ruoli assai diversi in film appartenenti a vari generi, che scelse con estrema cura, riuscendo a costruire una filmografia ricca di titoli di rilievo, senza mai rinunciare alla possibilità di discutere, alla pari, scelte di regia e aspetti recitativi con grandi autori.
Kirk Douglas, nome d'arte di Issur Danielovitch Demsky, nato a Amsterdam, nello stato di New York, il 9 dicembre 1916, era figlio di genitori russi, emigrati ebrei, giunti negli Stati Uniti nel tentativo di sfuggire alle persecuzioni zariste e alla povertà. Sin da giovanissimo, unico figlio maschio tra sei sorelle, si cimentò nelle più svariate attività, maturando il desiderio ossessivo di affrancarsi dall'umile condizione originaria, di cui aveva sofferto suo padre Hershell, riuscito appena a sopravvivere come 'venditore di stracci' (come ricorda lo stesso Douglas nella prima autobiografia, "The ragman's son" del 1988, tradotta in italiano con il titolo "Il figlio del venditore di stracci - Una vita come un film", pubblicata da Rizzoli nel 1989). Fu sua madre Bryna (dal nome della quale deriva quello della futura compagnia di produzione dell'attore) a spingerlo a studiare, a laurearsi e a dedicarsi a una professione adeguata alle sue aspirazioni. Dopo aver frequentato la Wilbur Lynch High School, dove l'insegnante di inglese lo incoraggiò a recitare, si iscrisse alla Saint Lawrence University di Canton (New York).
Nel 1939 si stabilì a New York nel Greenwich Village per seguire i corsi dell'American Academy of Dramatic Arts, dove conobbe Betty Joan Perske, la futura Lauren Bacall, che lo segnalò in seguito al produttore Hal B. Wallis. Nel frattempo l'attore, che aveva assunto il nome d'arte di Kirk Douglas, ispirandosi a Douglas Fairbanks, lavorò alla radio e, senza particolare successo, in teatro (che avrebbe lasciato definitivamente nel 1951), e si arruolò durante la seconda guerra mondiale in marina, ma venne ferito nel Pacifico meridionale e congedato per malattia nel 1944. Esordì al cinema in " Lo strano amore di Marta Ivers" (1946) di Lewis Milestone. Nei suoi primi film Douglas, in veste di comprimario di rilievo, delineò suo malgrado un personaggio fondamentalmente fragile "Le catene della colpa" (1947, noto anche come "La banda degli implacabili") di Jacques Tourneur, ma anche colto e idealista in "Lettera a tre mogli" (1948) di Joseph L. Mankiewicz, regista con il quale sarebbe tornato a lavorare vent'anni dopo nel cinico western "Uomini e cobra" (1970).
Al suo primo ruolo da maturo e consapevole protagonista, in "Il grande campione" (1949) di Mark Robson, Douglas guadagnò la prima e meritata nomination all'Oscar come miglior attore. Con vivace piglio autoreferenziale, sin dalla prima sequenza Kirk fece brillare nei suoi occhi una luce sinistra per sintetizzare l'ambivalenza del pugile in carriera, tipico personaggio sgradevole e discutibile, prototipo di quasi tutte le interpretazioni successive dell'attore. Con il regista Billy Wilder diede vita al personaggio più immorale e demistificante della sua intera galleria, il giornalista di "L'asso nella manica" (1951), mentre con Stanley Kubrick diede spessore non retorico a due generosi eroi di stampo progressista, l'antimilitarista, ma non per questo pacifista, colonnello Dax di "Orizzonti di gloria" (1957) e lo schiavo "Spartacus" (1960) votato alla battaglia per la libertà e al conseguente martirio (di quest'ultimo film Douglas fu anche produttore esecutivo). Con Vincente Minnelli portò alla luce i risvolti ignobili o dolorosi della creazione artistica, fatta di solitaria misantropia e di genialità distruttiva e autodistruttiva: in particolare l'emblematico Jonathan Shields di "Il bruto e la bella" (1952), che gli valse la seconda nomination all'Oscar e in cui fu uno spregevole e arrogante produttore cinematografico, uomo di spettacolo e di talento, lungimirante eppure inviso a tutti. Shields, oltre a rispecchiare certi tratti della personalità dell'attore, rappresenta la logica crudele, degenerata ma alfine positiva dell'universo hollywoodiano. Una logica che Minnelli condivideva e avrebbe ribadito in "Due settimane in un'altra città" (1962), rincarando la dose di patologica ferocia, affidando a Douglas il ruolo di un attore finito, vittima disposta a ribaltare il proprio triste destino.
Nel precedente "Brama di vivere" (1956), ancora una volta diretto da Minnelli, Douglas con eguale forza e passione sfrenata aveva saputo descrivere la dannazione e la follia dello sfortunato pittore Vincent van Gogh, ottenendo la terza nomination all'Oscar. Fondamentali restano nella carriera dell'attore altri celebri personaggi compulsivi e violenti come il poliziotto di "Pietà per i giusti" (1951) di William Wyler e il barbaro protagonista di "I vichinghi" (1958) di Richard Fleischer, che l'aveva già diretto nel disneyano "20.000 leghe sotto i mari" (1954). Significative anche le interpretazioni di Douglas accanto a grandi protagonisti dell'immaginario hollywoodiano come Burt Lancaster, soprattutto in "Sfida all'OK Corral" (1957) di John Sturges, regista anche di "Il giorno della vendetta" (1959); o John Wayne in "Prima vittoria" (1965) di Otto Preminger e "Carovana di fuoco" (1967) di Burt Kennedy. Douglas prese parte a western prestigiosi diretti da Raoul Walsh ("Sabbie rosse", 1951), Howard Hawks ("Il grande cielo", 1952), King Vidor ("L'uomo senza paura", 1955) e da Robert Aldrich ("L'occhio caldo del cielo", 1961). Ma seppe anche dare il meglio di sé nel mitologico "Ulisse" (1954) di Mario Camerini, nell'inedito ruolo del cowboy anacronista in "Solo sotto le stelle" (1962) di David Miller, nei vari personaggi del giallo-rosa ("I cinque volti dell'assassino", 1963) di John Huston, nel fantapolitico apologo progressista "Sette giorni a maggio" (1964) di John Frankenheimer, nel bellico "Gli eroi di Telemark" (1965) di Anthony Mann, nell'apologo sulla mafia italoamericana "La fratellanza" (1968) di Martin Ritt, nel melodrammatico "Il compromesso" (1969) di Elia Kazan, nell'orrorifico "Fury" (1978) e nel comico-demenziale "Home movies - Vizietti familiari" (1979), entrambi di Brian De Palma, nei fantascientifici "Saturn 3" (1980) di Stanley Donen e "Countdown dimensione zero" (1980) di Don Taylor. Come regista, Douglas si è poi diretto con discreto senso del mestiere in "Un magnifico ceffo da galera" (1973) e "I giustizieri del West" (1975).
Douglas ha interpretato il suo penultimo film, "Vizio di famiglia" (2003) accanto a Michael, proprio nei ruoli di padre e figlio. Ha concluso la carriera di attore apparendo in "Illusion" (2004) di Michael A. Goorjian (2004) Kirk Douglas si è sposato due volte. Dal primo matrimonio con l'attrice britannica Diana Dill (durato dal 1943 al 1951) ha avuto due figli, l'attore Michael Douglas (nato nel 1944) e Joel Douglas (nato nel 1947), divenuto in seguito produttore. Nel 1954 Douglas si è risposato con la produttrice Anne Buydens, da cui ha avuto altri due figli, Peter Vincent (1955) ed Eric (1958-2004, morto a 46 anni per abuso di stupefacenti).