Spettacoli

Parasite vince l’Oscar: da premiare anche i giurati che hanno fatto la storia

Simone Rosti

Quelli dell’Academy sono dei geni, questa è la prima considerazione sugli oscar 2020. Per la prima volta in assoluto hanno premiato, rompendo un tabù, un miglior film non in lingua inglese. Non solo, ma Parasite ha vinto anche come migliore sceneggiatura, miglior film internazionale e migliore regia. Onore al grande regista Bong Joon-ho già vincitore della Palma d'oro a Cannes e onore ai membri dell’Academy che hanno saputo intercettare questa formidabile occasione per rompere quel tabù e lo hanno fatto con una pellicola coreana che mette tutti d’accordo, critica e pubblico.

Ma perché ha vinto così tanto Parasite? Perché è un film che (solo) apparentemente racconta una storia semplicissima sullo “scontro” fra poveri e ricchi. In verità l’opera di Bong Joon-ho nasconde una complessità mastodontica e le domande che genera sono infinite. L’inizio è cinicamente ironico con il tratteggio delle due famiglie protagoniste, una poverissima che vive nella misera totale, dove però non sembra mai perdersi il sorriso, dove ci si accontenta del nulla, ci si fa forza l’un con l’altro, mentre l’altra famiglia straricca sembra essere in preda ad una follia esistenziale dove l’agio è solo il substrato di mille altri problemi e si respira un’infelicità di fondo. Da sottolineare l’abilità con la quale il regista ci racconta questi due mondi, ognuno dei quali si muove in modo corale, come un’orchestra guidata da una forza divina.

Quando in un (forse banale quanto improbabile) gioco di incastri la famiglia povera si trasferisce (con l’inganno) presso la famiglia ricca per svolgere lavori domestici ci crea un tutt’uno melenso che non funziona, l’unica contaminazione è quella (in un geniale riferimento simbolico) del cattivo odore della famiglia povera. Senza rilevarne gli intrighi che vi lasciamo scoprire, qui la commedia cede il passo alla tragedia, dove però prevale lo splatter più che la violenza. Bong Joon-ho è un regista tanto abile quanto furbo, lasciandoci sempre in dubbio sulle sue reali intenzioni che si collocano a metà strada fra la denuncia e il divertissmant.

Resta però un punto su cui non si può non essere d’accordo, che il divario sempre maggiore fra disgraziati (che anche al loro interno si contendono il ruolo del più disgraziato in una serie di sequenze memorabili) e privilegiati non è un gioco a somma zero, tutti ne perdono ed è forse questo il senso del film. Qualcuno ha parlato di un film tarantiniano, facendosi travisare dalla violenza presente, ma non è affatto vero perchè in Parasite la violenza non guida il film ma è il film che sapientemente usa la violenza splatter che si instilla gradualmente come una frana che a un certo punto crea una catarsi senza via di scampo per nessuno.