Ruggeri ad Affari: "Vi racconto Sanremo nei miei 36 anni di Festival"
Di Giordano Brega
“Quanto sono cambiato rispetto alla mia prima partecipazione a Sanremo? Moltissimo. Considerate che la primva fu 36 anni fa. Sarebbe terribile se non lo fossi". Parola di Enrico Ruggeri. Il 58enne cantante milanese si confessa ai microfoni di Affaritaliani.it.
E spiega: "Dal punto di vista dell’approccio con il Festival devo dire che non l’ho mai demonizzato. Sento sempre dell’emozione di salire sul palco che ti taglia le gambe… io sarò molto, ma molto più emozionato quando si aprirà il sipario della prima data in teatro quando si aprirà il sipario e ci sarà il pieno di pubblico. Con persone che sono uscite di casa, hanno parcheggiato la macchina, hanno lasciato il cappotto, pagato il biglietto per vedere me. E io sono lì, in silenzio, al buio ad aspettare che quel sipario si apra per poter iniziare a cantare. Quelle sono le sensazioni belle e forti della vita. Sanremo è tutt’altra cosa. Sei di fronte a un pubblico che non è certo lì per te. Tu rappresenti un ventesimo del suo interesse. E hai la consapevolezza che salirai sul palco e per quanto minuti porterai un progetto di fronte a quelle persone. Augurandoti che alcune lo recepiscano. Ma questa ‘demonizzazione’ del teatro Ariston non la capivo nel 1980 e non la capisco oggi”
Il Festival invece com’è cambiato in questi 36 anni?
“Ha seguito il Paese. E’ cambiato il mondo. Nel 1980 noi Decibel arrivammo a Sanremo e dopo 30 secondi capimmo che avremmo lasciato un segno indelebile. Ma perché non esisteva internet. Noi andavamo a Londra e tornavamo con camice, occhiali, i capelli, la musica o il modo di parlare e di camminare di un mondo che era avanti 30 anni rispetto all’Italia. E che l’Italia non conosceva. Per cui c’erano i Decibel, i Collage, il Giardino dei semplici, Pupo, c’era questo mondo melodico italiano con i capelli lunghi, le camice con lo sbuffo… e poi arrivammo noi. Oggi è improponibile questo. Se qualcuno in Indonesia fa qualcosa di diverso dagli altri, dopo due minuti ce lo abbiamo tutti sull’ipad. Una volta si poteva sperimentare, ma obiettivamente avevi anche il vantaggio di arrivare prima degli altri perché la gente non sapeva nulla di quello che accadeva fuori dall’Italia rispetto a oggi”
Lei dice che Sanremo ha avuto dei picchi e dei momenti di basso in questi quasi 4 decenni…
“Anche all’interno dello stesso Festival”
Lei quale ricorda di più?
“Quello del 1987 per quanto mi riguarda fu l’edizione in cui si allinearono tutti i pianeti. Gli ascolti fecero punte del 75% di share. Oggi quando fai il 25% in un programma si abbracciano tutti. Contemporaneamente io vincevo con ‘Si può dare di più’ e la mia casa discografica in quel periodo era in cassa integrazione. Venne revocata e vennero istituiti i turni di notte per stampare le copie della canzone. Raro caso di successo di ascolti che coincide con il mercato. Non solo…”
Cos’altro accadde?
“Per quanto riguarda i pianeti allineati su di me, io vinsi cantando un brano nazional-popolare non scritto da me. In quell’edizione però ho vinto anche il premio della critica con ‘Quello che le donne non dicono’ (cantato da Fiorella Mannoia, ndr) che era tutt’altra cosa come testo. In qualche modo bilanciando le cose”.
Nel suo nuovo album - “Un Viaggio Incredibile” (in uscita il 12 febbraio) - c’è un tributo a David Bowie, recentemente scomparso. In cosa l’ha influenzata?
“Tante cose. Nel coraggio, nella disinvoltura in cui lui tante volte ha abbandonato i momenti di successo perché aveva voglia di fare altro. Il 2 luglio 1973 - nel momento in cui il suo ‘Ziggy Stardust’ sta esplodendo in tutto il mondo - va a fare l’ultimo concerto e dice alla gente che non sapeva nulla ‘questo è il nostro ultimo concerto’. E riappare qualche mese dopo in America vestito di bianco, con il ciuffo biondo e fa un altro tipo di musica. E quando sta per sfondare con quella sparisce di nuovo e riappare a Berlino. Oltre al coraggio quindi l’assoluto disinteresse per il mercato pur scrivendo canzoni memorabili che hanno avuto un ottimo successo. E dal punto di vista tecnico ha fatto molte canzoni rock con una voce non alta. Cosa che mi interessa personalmente visto che la maggior parte delle persone che hanno fatto rock avevano voci squillanti. Riuscirci invece in quel modo è una sfida che lui, Lou Reed e alcuni altri hanno potuto sostenere”