Spettacoli

Ascolti tv Sanremo: dirigenti in prima fila, share 'aiutato', nulla di vero

Maurizio de Caro

“Andiamo a Sanremo, che cosa?” cantava qualche anno fa il rapper al di sopra di ogni sospetto, per indicare il punto più basso che si potesse toccare nella carriera, a dispetto di quello che dicono Al Bano, la Zanicchi e i Ricchi e Poveri eppure anche quest’anno ci siamo andati, sia pure virtualmente davanti allo specchio delle loro brame digitali, condannati al rito.

Ed eccoci pronti a sparare frontalmente contro quello che erroneamente si cerca di far passare come specchio del paese e forse per questo bisogna dare un “aiutino” allo share, all’audience con alcuni accorgimenti tecnici semplici ma efficaci. Prendete il solito GO del club mediterranée e dategli ore di sberleffi adolescenziali, battutine facili facili e satira depurata da qualsiasi cattiveria, e otterrete il plebiscito, che dovrebbe scemare entrando nel vivo della gara ma, l’escamotage è pronto: farla iniziare ad un’ora in cui neppure i disperati indecisi sul suicidio guardano la televisione, e il gioco è fatto.

Sanremo è lo specchio opaco del paese, quello che ascolta o guarda distrattamente l’apparecchio, da un’altra stanza, o cucinando il pesce, o addirittura chattando sul telefonino, la sommatoria di queste distrazioni e degli ascolti notturni trasforma un evento francamente marginale, nell’Evento che commercialmente regge il baraccone pubblico, avvinghiato alle prime linee delle poltrone dell’Ariston.

Questa presenza deve essere stata considerata come l’ammissione al Club Privè dei potenti, vista la completezza degli organici diventati improvvisamente esperti musicali, e alla  scomparsa della Politica padrona della Rai, assente a tutte le scale e livelli decisionali possibili, perché Sanremo è Sanremo?

Perché nelle consuetudini nella banalità globale delle armonie e nei soliti scandaletti modaioli (minigonne, tatuaggi inguinali, scollature e altre amenità), lo spettacolo arranca e sopravvive alla sua condizione retrograda, cancellando per una settimana santa: deragliamenti pandemie, leggi spericolate da far approvare e, addirittura, la faccia di Greta Tumbergh.

Ogni secondo delle quattro o cinque ore di omelia laica sembra programmato per produrre reddito e per annientare qualsiasi logica estetica. Anche la peggior anima bella capirebbe che non c’è niente di originale, sincero, solo un’immensa maschera posticcia che rappresenta certamente il paese, ma principalmente l’universo canceroso dei suoi vizi e dei suoi difetti.

Dunque evviva Sanremo, con gli Ascolti Corretti, la Dirigenza in parata, le polemiche organizzate, la stampa adorante, Peppe Vessicchio, e Presentatori ubbidienti, Premi Oscar, ma anche se volessimo vivisezionare ognuno di questi argomenti troveremmo altre mediocrità che sono la capacità pervicace della classe dominante di far parlare il paese secondo lo schema fisso, consegnato all’inizio della Kermesse.

Il Festival dei Fiori dura una settimana sola ma basta per farci capire quanto raffinata sia diventata la macchina della manipolazione, della bugia condivisa, e della celebrazione di starlette giovani e giovanili che si auto sostengono nell’esprimere la musica al suo più basso grado possibile, e poi nessuno è realmente interessato alla Canzone Italiana.

Risparmiateci almeno la decenza di dire che venticinque ore di finzione kitch e cialtrona, espressione della volontà dominatrice e massificatrice possano rappresentare qualcosa o qualcuno, a parte, come temiamo, l’infinita sequenza di devianze, di luoghi comuni italioti. Il vero carnevale sta per finire, e il “liberi tutti virtuale”, ritornerà in altre gallerie degli orrori che i nostri dirigenti di Viale Mazzini stanno programmando, il pubblico mansueto d’Italia può cominciare a lucidare il telecomando.