Spettacoli

Venezia 77, La Dolce Vita fa discutere (e litigare) anche dopo 60 anni

ANDREA CIANFERONI

Nel docufilm interpretato da Luigi Petrucci, il regista Giuseppe Pedersoli ricostruisce il travagliato parto produttivo del capolavoro di Federico Fellini

Duro scontro in conferenza stampa sul docufilm diretto da Giuseppe Pedersoli "Omessa la figura di mio padre" attacca Umberto Rondi, figlio di Brunello Rondi. "La nostra storia è un'altra" replica il regista 

"La verità su La Dolce Vita" ma dopo la conferenza stampa veneziana, potrebbe essere ribattezzata anche “Le verità su la Dolce Vita”. Arriva alla Mostra del Cinema il docufilm diretto da Giuseppe Pedersoli, figlio di Bud Spencer e nipote di Beppe Amato, il mitico produttore che ebbe la fortuna, o si potrebbe addirittura dire “sfortuna” di produrre La Dolce Vita, viste le grandi difficoltà produttive che incontrò. La storia raccontata da Pedersoli si basa su documenti cartacei, filmati, lettere e telegrammi. Una storia raccontata in maniera inconfutabile, come tiene a precisare il regista. Nonostante questo, Pedersoli si imbatte nel duro attacco, nel question time riservato ai giornalisti, in conferenza stampa, di Umberto Rondi, figlio di Brunello Rondi e nipote del critico cinematografico Gianluigi Rondi, che lo accusa (duramente) di non aver preso in considerazione il contributo nella stesura della sceneggiatura apportato dal padre, che infatti non compare nel film.

“Sono indignato e offeso da una parte di questo film che peraltro ho amato, perché Peppino Amato era un uomo geniale. Mio padre, Brunello Rondi, è stato il più importante sceneggiatore de "La Dolce Vita" ed è stato completamente omesso con malafede. Questa estate ho contattato Giuseppe Perdersoli e Gaia Gorrini per intervenire: ci saranno probabilmente conseguenze legali”. Mio padre ha scritto la sceneggiatura: lo dice la Siae, lo dice la nomination all’Oscar. Pedersoli ha fatto di tutto per far credere che il suo film racconti la verità su La dolce vita: come pretende di chiamare verità se omette la figura centrale di mio padre? Il biografo di Fellini, Tullio Kezich, ha scritto "Il Dolce Cinema", la cosa più precisa e indipendente sul film: qualsiasi scolaretto l’avrebbe consultato. Voi avete peccato per ignoranza o per arroganza”.

Altrettanto dura e secca, sempre in conferenza stampa, la replica del regista che controbatte affermando “Non c’è motivo per escludere l’autorialità di suo padre Brunello Rondi, solo che la nostra storia non ha nulla a che vedere con quello che dice lei. Ci siamo basati sulla non confutabile veridicità dei documenti in possesso di mio nonno. Nel nostro archivio abbiamo trovato la sceneggiatura che Peppino Amato comprò da Dino De Laurentiis: il nome di Brunello Rondi non c’è. Non disconosco il ruolo di suo padre, non abbiamo nessun problema a riguardo. Ma non c’è stata alcuna possibilità di interloquire con lei in modo normale, lei ha un modo aggressivo di porsi con noi”.

Il capolavoro di Federico Fellini continua a creare scompiglio e polemica anche dopo 60 anni dalla sua uscita travagliata, a causa delle dispute tra i produttori Angelo Rizzoli, Beppe Amato ed il regista riminese che chiedeva un budget molto più alto di quello inizialmente stabilito, ma anche una lunghezza eccessiva di quattro ore, considerata insostenibile per le sale cinematografiche italiane ed internazionali. Dopo una prima stroncatura di una parte della stampa e del mondo cattolico, "La Dolce Vita" fu premiato dal pubblico che lo rese uno dei successi cinematografici più importanti della storia del cinema, consacrando definitivamente sia Marcello Mastroiaanni che Anita Ekberg, la quale rimase per sempre appigliata a quel ruolo di diva bionda e svedese senza riuscire a liberarsene mai.

La storia del film parte con il viaggio di Beppe Amato a San Giovani Rotondo per avere la benedizione di Padre Pio, si snoda attraverso un ricco archivio fotografico, cartaceo di lettere, telegrammi e corrispondenze dell’epoca, per alternarsi nel racconto con le testimonianze filmate di Vittorio De Sica e Beppe Amato stesso, Marcello Mastroianni, Sandra Milo, Dino De Laurentiis, che sfortunatamente per lui - come sottolinea in una intervista di alcuni anni fa presente nel documentario - barattò il soggetto de La Dolce vita con quello de La grande guerra di Mario Monicelli. Il docufilm, in sala da 15 settembre in 25 copie con Istituto Luce-Cinecittà, è stato realizzato in occasione dei 60 anni dall’uscita de film, nelle sale nel febbraio del 1960, e racconta il dietro, la produzione, la parte più difficile, attraverso materiale di archivio custodito dalle tre figlie di Beppe Amato. Una copiosa corrispondenza fatta di lettere, relazioni, preventivi, verbali di riunioni: un piccolo tesoro raccontato dalla viva voce dei protagonisti.

Nella parte di Beppe Amato c’è Luigi Petrucci, grande attore di teatro e cinema napoletano, cosi come napoletano era Amato e la maggior parte dei produttori di cinema dell’epoca, che si è pienamente immedesimato nella figura del produttore della Dolce Vita, una figura dura ma al tempo stessa molto sensibile al talento di Fellini che considerava un grande artista, tanto da essere stato l’unico a scommettere sul soggetto della Dolce Vita, a costo di rimetterci molti soldi e la salute. Amato morirà infatti di infarto pochissimi anni dopo l’uscita del film, che gli era costato una rinuncia dei diritti a favore di Rizzoli, che aveva ricomprato il film per 200 milioni.  “Dalle lettere traspare la durezza dei rapporti ed i contrasti tra chi difendeva il progetto artistico, come Amato - e chi le esigenze dell’industria, come Rizzoli - afferma il regista - ma anche il talento di un uomo che aveva intuito da subito il grande talenti di Fellini e la validità del progetto della Dolce Vita, un affresco contemporaneo della società italiana.

Amato, come sottolinea il regista Giuseppe Pedersoli, che del produttore era anche nipote (in quanto suo padre aveva sposato una delle figlie) riteneva che “il cinema non si fa per fare soldi. Bisogna fare belissimi film per fare tantissimi soldi”.  La Dolce vita film costò 800 milioni, ben 400 in più di quelli inizialmente pattuiti tra produttore e regista. Rizzoli scrisse ad Amato: "questo film non può uscire, vedremo come va sui mercati internazionali e poi vedremo se vale la pena di farlo uscire in Italia” ma mio nonno si batté con le unghie e i denti per distribuirlo da subito anche in Italia. Quando il film usci nella sale italiane fu un grande successo, e forse anche per le polemiche del mondo cattolico ebbe ancora più pubblicità. "E’ bello oggi poter raccontare la sua incredibile storia a chi non lo conosce”.