Esteri
Africa tra jihadismo e nuove potenze. Nel vuoto lasciato da Europa e Trump

La liberazione di Silvia Romano un segnale dei nuovi equilibri geopolitici nel continente
Il continente nero è lo sbocco naturale per le mire espansionistiche di stampo ottomano e di quelle di stampo saudita. Da anni Ankara percorre una linea di discesa a Sud con destinazione Corno d’Africa, dove la contesa si gioca con le monarchie del Golfo. L’Arabia Saudita ha rivestito un ruolo importante nella pace del 2018 fra Eritrea ed Etiopia, mettendo fine a una guerra che ha agitato le acque del Mar Rosso per vent’anni. Proprio in questo snodo cruciale si in(s)contrano gli interessi di Ankara e Riad. È anche qui che si decide la partita di potenza regionale.
Il tutto è favorito dall’ingessamento europeo che limita il suo sguardo al proprio giardino e dall’isolazionismo trumpiano che ora più che mai sta dedicando tutte le proprie attenzioni verso Pechino. Proprio la Cina è la grande potenza che ha riempito i vuoi geopolitici lasciati nel continente africano, imponendosi come principale partner commerciale della stragrande maggioranza dei paesi.
È la stretta attualità a consegnarci il quadro di influenze in cui gli stati interessati condividono la scena con gli attori transazionali. Nella liberazione della cooperante milanese Silvia Romano, l’intelligence turca ha aperto la strada all’Aise dando un contributo concreto per intercettare i canali ‘giusti’ da intraprendere nella negoziazione con i suoi rapitori.
Ma il gruppo terroristico al-Shabaab che ha rapito e tenuto in ostaggio Silvia Romano per 18 mesi, è solo una delle diverse formazioni jihadiste che operano in Africa. Secondo quanto riporta il Centro per gli studi strategici in Africa, si contano almeno 5 ‘teatri’ che coinvolgono almeno 13 stati. Nel 2019 si sono registrate oltre 3.400 attività violente, un dato superiore del 14% rispetto all’anno precedente: un aumento netto delle attività terroristiche nel continente. Le azioni non sono state frenate dalla diffusione dell’epidemia, al contrario, il virus ha accentuato la necessità di approvvigionamento di risorse, materiale sanitario e denaro. Sebbene nello specifico al-Shabaab abbia diminuito le sortite negli ultimi mesi, nonostante la notorietà acquisita col caso Romano, le attività terroristiche nel loro complesso in Africa vanno avanti e la zona fra la Somalia e il Kenya, dove agisce appunto al-Shabaab, non è l’unica area pericolosa.
Nella fascia del Sahel, in paesi come il Burkina Faso, il Mali e il Niger, si è visto un rapido aumento dell'attività violenta estremista. Dal 2015 al 2019 gli episodi sono raddoppiati provocando circa 2.600 vittime. I gruppi indicati come responsabili di queste azioni criminali sono il Fronte di liberazione di Macina, lo Stato islamico del Grande Sahara e Ansaroul Islam. Tutti collegati ad al Qaeda attraverso il cartello del Maghreb islamico noto come Jama’at Nusrat al Islam wal Muslimin.
Nella zona del Lago Ciad, che coinvolge Nigeria, Niger, Camerun e Ciad operano due gruppi terroristici: Boko Haram e lo Stato islamico dell'Africa occidentale (una ramificazione del primo) e le vittime registrate nel 2019 sono oltre le 3.200 con un aumento di circa il 35% delle attività criminali rispetto all’anno prima. Da questi stati francofoni (di influenza anglofona la Nigeria), situati appena sotto la fascia settentrionale africana, provengono le colonne di immigrati che finiscono nelle prigioni libiche.
Nella fascia settentrionale africana a cavallo fra Egitto, Libia e Tunisia l’attore transazionale principale è lo Stato islamico, meglio conosciuto sotto l’acronimo Isis, dove si registra un calo di vittime e di violenze nel 2019 rispetto al 2018. Tunisi e Il Cairo infatti, hanno rafforzato le misure di contrasto. Tuttavia, l’instabilità libica favorisce il ‘camuffamento’ dei gruppi estremisti. Mentre al-Sisi ha ridato all’Egitto ambizione e fierezza, derogando ai principi democratici, la Libia, dalla caduta di Muhammar Gheddafi, è stretta nella morsa delle tribù e dell’uomo forte della Cirenaica Khalifa Haftar che insidiano ormai da mesi il governo di accordo nazionale di Fayez al-Sarraj.
A Sud-Est del continente, di fronte l’isola del Madagascar, anche la giovane Repubblica popolare del Mozambico è terreno di terrore. Gli episodi violenti hanno provocato oltre 700 morti nel 2019. Qui opera iI gruppo islamista Ahlu Sunnah wa Jama'a. L’ex colonia portoghese Il Frente de Libertação Nacional (Frelimo) governa il Mozambico fin dall’indipendenza del 1975, prima come partito autoritario e poi come vincitore unico di ogni tornata elettorale dal 1992 in poi, l’ultima lo scorso ottobre.