Esteri

Brexit, Theresa May e... il lamento sulla patria di Churchill

Gianni Pardo

Brexit, Theresa May sta mostrando una volontà di ferro, una resistenza coriacea che... L'analisi

Lo spettacolo che sta dando il Regno Unito mi addolora. Da sempre ho un amore speciale, per quel Paese, anche se non me ne nascondo i limiti. E sono parecchi. Ma i meriti superano i demeriti.

In questi giorni sono costretto a dissotterrare un concetto che spesso si dimentica. Molti, sul Continente, accanto ad un’ingiustificata antipatia per i britannici, coltivano miti sulla loro ragionevolezza, sul loro self-control, sul loro pragmatismo. Certo, gli inglesi quelle qualità cercano di dimostrarle. Ma anche loro sono umani e occasionalmente sono capaci di passioni irragionevoli, di azioni insensate, di incomprensibili eccessi. Se il gentiluomo di Rudyard Kipling è spesso esistito, non sono lontani dall’“inglesità” neppure gli hooligans del calcio. La rissa annegata nella birra del pub fa parte delle tradizioni e se in un dissenso qualcuno spara la famosa domanda: “You’re calling me a liar?”, “Mi stai dando del bugiardo?”, non ci vuol molto perché scorra il sangue. Il pugilato non è nato nelle public school, è nato nelle strade inglesi

Ma qui stiamo parlando della Brexit, dirà qualcuno, non di operai avvinazzati. Parliamo di Westminster. Di scranni sui quali si sono seduti personaggi illustri e indimenticabili. E infatti c’è di che essere tristi. E tuttavia al riguardo ho la tentazione di azzardare una spiegazione.

Noi continentali teniamo molto conto dell’opinione altrui. L’idea di essere considerati degli originali, di renderci ridicoli, in una parola la paura che la nostra diversità si possa tramutare in disprezzo, fa sì che l’aggettivo “eccentrico”, in italiano, abbia una connotazione negativa. Gli inglesi invece considerano una sorta di dovere il distacco dall’opinione corrente e la capacità di sorprendere il prossimo. Soprattutto se sono ricchi, famosi o importanti. Del resto, è una faccia del loro famoso humour. Per questo sono capaci di comportamenti irragionevoli. Forse è un eccesso di cielo grigio e di pioggerella sottile che li induce ad essere colorati, anticonformisti e infine, come nel caso della Brexit, irrazionali. Raramente si è vista, come in questa occasione, una tale coralità nell’atteggiamento infantile. Non voglio questo, non voglio quello, e non voglio neanche il loro opposto. Voglio soltanto dire di no, e chi se ne frega delle conseguenze. Rright or wrong, what I said. O forse ciò che mi capiterà di dire domani.

Purtroppo stavolta gli amici che siedono nelle Houses of Parliament stanno giocando col destino dei loro connazionali. Con la stabilità e la prosperità del loro Paese. Sembrano in preda ad una sorta di indomabile delirio, come avessero improvvisamente peduto il contatto con la realtà. E non è la prima volta. Negli Anni Trenta, quando le nuvole si addensavano nel cielo e la Germania si riarmava pericolosamente, Londra continuò a sperare nell’appeasement. A credere che il diavolo non fosse così brutto come lo si dipingeva. Non si comportò dunque in maniera ancora più irresponsabile di come stia facendo oggi?

In quegli anni, malgrado l’evidenza delle ambizioni e delle violenze di Hitler, la Gran Bretagna ebbe l’incoscienza di non prepararsi allo scontro. Ancora nel 1938 sperò di potersela cavare con i sorrisi e le firmette di Neville Chamberlain a Monaco. Ormai è storia vecchia, ma chi avrebbe detto, nel 1940, che l’Inghilterra sarebbe stata capace di resistere a Hitler, e perfino di battere nei cieli una Luftwaffe che da anni si preparava a dominare i cieli?

Gli inglesi, messi alle strette, furono ridotti a confidare nella flotta, nelle tempeste della Manica, e in Dio. Poi, certo, ci fu la gloriosa “Battaglia d’Inghilterra”, con l’epico commento di Churchill in lode dei giovani piloti inglesi, di cui tantissimi perirono: “Never was so much owed by so many to so few”, “Non c’è mai stato un debito tanto grande di tantissimi verso pochissimi”. Ma quel detto fa ancora oggi correre un brivido nella schiena, perché ci fa misurare l’entità del miracolo. E poi i britannici dettero la prova di una sorta di eroismo collettivo, oggi francamente improbabile.

L’Inghilterra ragionevole, pragmatica, prosaica, perfino, mise a rischio per insipienza la propria indipendenza e la propria libertà. Si salvò con un’epopea che forse rappresenta il punto più alto della storia inglese, ma ciò non toglie che gli inglesi siano stati pazzi, veramente pazzi, in quegli anni Trenta. Se Dio non avesse avuto pietà di loro, se non gli avesse mandato Winston Churchill, che da sempre aveva tenuto gli occhi aperti, forse la Gran Bretagna sarebbe stata un’altra Francia, un’altra Danimarca, un’altra colonia.

In questi giorni Theresa May sta mostrando una volontà di ferro, una resistenza coriacea che stupisce, in una donna. Ma stupisce soltanto chi non sa che le donne, per sopravvivere, devono essere più forti degli uomini. Tanto che è molto, molto imprudente sfidare personaggi come Indira Gandhi, Golda Meir o Margaret Thatcher. Se sono arrivate ad un posto di comando, è perché per anni sono vissute a pane e battaglie. E proprio per questo, anche se la sua figura allampanata non suscita simpatie, non si può che augurare alla signora May quel successo che, fino ad ora, le è sfuggito. Per il suo bene, ma soprattutto per il bene di un Paese che ha un posto d’onore nel nostro cuore.

Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com