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Esteri
Cina-Taiwan, riflessi di Trump-Oms, Giappone-Australia: pillole asiatiche

Giornata piena sul fronte asiatico. La scomparsa del sindaco di Seul, Park Won-soon, e il lancio di una nuova campagna anti corruzione in Cina sono le due notizie con la più ampia risonanza. Ma ecco altre tre pillole su quello che succede o sta per succedere in Oriente.

CINA-TAIWAN. Interessanti movimenti sul triangolo Pechino-Taipei-Washington. Partiamo da un'intervista del Global Times, il tabloid di Pechino, a Wang Zaixi, ex vice direttore dell'Associazione per le relazioni sullo Stretto di Taiwan del Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese. Intervista significativa perché offre un'idea di linea e considerazioni del Partito Comunista su quanto accade a Formosa. Si parte da una valutazione sul discorso inaugurale di Tsai Ing-wen dello scorso 20 maggio: "Sebbene il discorso sia stato più evasivo rispetto a quello del 2016 sulle relazioni intrastretto, ci sono alcuni punti che devono metterci in allerta", dice Wang, citando tre elementi: i riferimenti della presidente taiwanese alla costituzione, che "potrebbe essere rivista in ogni momento", il mancato riconoscimento del consenso del 1992, simbolico motivo del contendere tra Pechino e Taipei, e il fatto che Tsai abbia esplicitamente parlato di Repubblica di Cina, Taiwan e non solo Repubblica di Cina. "Un fattore che suggerisce l'intento di creare una Taiwan indipendente e di realizzare il suo obiettivo di desinizzazione dell'isola", dice Wang. La sconfitta del Kuomintang viene attribuita alla mancata unità interna al partito, con "Han costretto a fare la campagna da solo". Wang avverte il Kmt di non abbandonare il consenso del 1992, messaggio rivolto a un partito in rinnovamento con la nuova presidenza di Johnny Chiang. Sentite che cosa dice Wang alla domanda se ritiene che il Kmt possa perdere vocazione maggioritaria: "Non è necessariamente vero. La chiave per il Kmt è di trasformare se stesso e approfittare delle opportunità che il Dpp, partito bravo a essere eletto ma non bravo a governare, gli darà". E prosegue: "Il Dpp ha avuto dei vantaggi durante le elezioni, ma ora ha anche degli svantaggi: non è in grado di portare avanti le relazioni intrastretto e con la società internazionale, né sa governare l'economia taiwanese. Il Kmt ha una storia di 126 anni piena di esperienza e talento. Deve solo risolvere quattro problemi: unità interna, rinnovamento generazionale, trovare un corretto posizionamento e cambiare la sua immagine in qualcosa di più accettabile per il pubblico. Se il Kmt inseguirà il Dpp, non avrà futuro". Insomma, l'intervista sembra innanzitutto un richiamo al Kmt, tradizionale interlocutore del Pcc a Taiwan, di non tagliare il cordone ombelicale.

RIFLESSI DI TRUMP-OMS SU TAIWAN. Ora che è ufficiale, gli effetti sono più chiari. L'uscita degli Stati Uniti dall'Organizzazione mondiale della sanità, preannunciata settimane fa da Donald Trump, sarà effettiva nel 2021. E rischia di colpire anche i (veri o presunti) partner di Washington. E' soprattutto il caso di Taiwan, che vedeva proprio negli States l'alleato più influente in grado di sostenere la richiesta di riammissione come membro osservatore dell'Oms. Richiesta che aveva fatto discutere prima dell'ultima assemblea generale sulla pandemia da coronavirus e che aveva raccolto il via libera di diversi paesi anche europei. Ora, però, la ritirata americana lascia vuoti che saranno con ogni probabilità riempiti dalla Cina, che ovviamente si oppone in materia. Ecco che allora inizia a emergere qualche malumore a Taipei, dove Tsai Ing-wen ha costruito la sua politica estera sul legame con Washington. Il Kuomintang, con una durissima nota stampa, ha chiesto al Dpp conto di quanto annunciato da Trump, chiedendo di commentare. Chen Shih-chung, capo del Central Epidemic Command Center (CECC, quello lodato in tutto il mondo per la gestione epidemica) ha dichiarato che l'uscita degli Stati Uniti dall'Oms avrà "un serio impatto sul mondo della sanità pubblica", con "gravi conseguenze" a livello globale. Il governo ha per ora commentato che l'obiettivo di rientrare nell'Oms non cambia dopo la mossa di Trump.

GIAPPONE-AUSTRALIA. Da anni si parla, spesso con poca coincidenza nel concreto, di alleanze anti cinesi nell'Indo Pacifico. Di recente, però, i legami tra gli attori medi dell'area si stanno stringendo. India, Giappone e Australia in primis. Dopo i recenti accordi in materia militare, Tokyo e Canberra stanno per firmare un memorandum of understanding sulla cooperazione spaziale. La notizia è stata data dal The Australian, che riporta fonti governative che hanno aggiunto che i due paesi hanno l'intenzione di approfondire i rapporti anche in materia difensiva e di sicurezza. Nelle prossime settimane ci si aspetta un summit di alto livello. L'Australia, tra l'altro, ha fatto segnare un aumento delle spese difensive nonostante la pandemia. Il Giappone, dal canto suo, continua il percorso di innovazione e ammodernamento militare. I funzionari della difesa giapponese stanno accelerando le discussioni con gli alleati sullo sviluppo di un nuovo jet "future fighter", sottolineando le preoccupazioni per le dispute territoriali con la Cina su una catena di isole remote. Il nuovo velivolo è destinato a sostituire il caccia F-2, costruito da Mitsubishi Heavy Industries e Lockheed Martin ma basato pesantemente sul F-16 Fighting Falcon utilizzato dai militari statunitensi. L'ultimo dei 98 jet F-2 verrà ritirato intorno al 2035. Il Giappone si è anche impegnato ad acquistare 147 velivoli Lockheed Martin F-35 Lightning, ma insiste, scrive il South China Morning Post, sul fatto che lo sviluppo del suo nuovo caccia debba essere guidato da aziende nazionali con il contributo di produttori stranieri, probabilmente dagli Stati Uniti o dal Regno Unito.

 

 

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