Esteri
Cina, il terzo mandato di Xi e le imprese italiane: "Pechino deve aprirsi"
Intervista a Mario Boselli, presidente dell'Italy China Council Foundation: "Su Covid e geopolitica sarebbe auspicabile un cambiamento di approccio"
Intervista a Mario Boselli, presidente dell'Italy China Council Foundation
Durante il XX Congresso del Partito comunista cinese appena concluso, Xi Jinping ha ottenuto un terzo storico mandato come segretario generale. Mario Boselli, presidente dell'Italy China Council Foundation (ICCF), analizza in un'intervista ad Affaritaliani le ricadute di quanto emerso dall'appuntamento politico di Pechino sul mondo del business italiano.
Quali segnali arrivano in materia di politiche economiche dal XX Congresso del Partito comunista cinese?
Su questo tema i segnali arrivati dal Congresso non sono stati particolarmente forti né innovativi. Forse anche perché il Governo non si legittima più con la crescita economica sostenuta, come è successo dai tempi di Deng Xiaoping fino ad almeno il 2012, ma – viste le difficoltà degli ultimi anni – questa legittimazione ha acquisito un significato ideologico e in questo senso acquistano valore tematiche che hanno preso il sopravvento in questo Congresso: sicurezza, modernizzazione, autarchia. Ovviamente un’autarchia “velata”, perché la Cina ha ancora bisogno di talenti e know how esterni e non può certo permettersi di tagliare i ponti con il resto del mondo. La novità più importante, se proprio vogliamo, non è una novità: la Cina continua a puntare sulla Dual Circulation, perno del XIV Piano Quinquennale. Quindi la strategia si conferma quella di rimanere aperti in termini di investimenti e interscambio, mentre si lavora per aumentare sempre più la componente dei consumi e dell’innovazione nel Paese.
Molti osservatori hanno sottolineato un accresciuto focus della relazione del segretario generale sul concetto di sicurezza. Crede questo possa andare a detrimento del tradizionale focus sullo sviluppo economico?
Il tema della sicurezza è stato fortemente sentito in questo Congresso, sia che si parli di sicurezza esterna sia che si tratti di sicurezza interna. I difficili equilibri geopolitici e le difficoltà che stanno rallentando il Paese vengono percepite come elementi di disarmonia e minaccia alla sicurezza, considerata un bene fondamentale per il Paese, che deve essere difeso da minacce esterne o comunque da scossoni o shock. Fa riflettere il fatto che in questo XX Congresso i termini più utilizzati siano stati quelli riferibili a questo tema: parole come “problemi”, “rischi”, “sfide” e sempre meno, rispetto al passato, temi legati alla crescita armoniosa o alla pace. Ciò nonostante, non mi preoccuperei perché il focus sulla sicurezza è un processo positivo anche in campo economico. Questa attenzione ha sicuramente dei costi, ma sono virtuosi e non vanno a detrimento dello sviluppo economico.
Quali segnali si possono ricavare per le imprese italiane presenti in Cina o che magari non sono ancora presenti ma vorrebbero entrare sul mercato?
Per le aziende già presenti da tempo in Cina non vedo segnali particolari e questo discorso non è collegato al Congresso ma alla situazione che abbiamo vissuto negli ultimi due anni. Sono nel Paese e continuano a lavorare, visto che i moderni mezzi di comunicazione gli permettono di farlo nonostante il movimento di persone tra i nostri due Paesi sia rimasto bloccato per tanto tempo e sia ancora estremamente rallentato. Certo, non è una situazione particolarmente agevole per loro ma comunque non ne impedisce l’operatività. Ancora oggi permangono difficoltà oggettive e non è facile andare in Cina. Questo impatta con forza sulle aziende che nel Paese non sono ancora arrivate perché è sicuramente più complicato iniziare una qualche forma di relazione e lanciare nuove iniziative a distanza.
Mario Boselli
Nel 2013, Xi Jinping aveva promesso una serie di riforme economiche e una Cina più aperta al mondo. 9 anni dopo possiamo dire che questo è successo oppure la Cina è diventata più inaccessibile e più dirigista a livello economico con un settore privato maggiormente sotto il controllo del Partito?
Senza giri di parole, bisogna ammettere che la Cina è diventata non inaccessibile ma sicuramente difficile da affrontare. Certo in questo percorso ha impattato un fatto oggettivo che ha rallentato il percorso annunciato da Xi Jinping: la pandemia da Covid-19 è stata affrontata sempre con le stesse strategie, ma la prima ondata aveva caratteristiche differenti da quelle successive, che avrebbero richiesto scelte differenti. E, non essendo stato fatto alcun cambiamento di azione tra la prima ondata e quelle che hanno seguito, inevitabilmente il Paese è rimasto chiuso portandoci alla situazione attuale. La gestione della pandemia non ha, però, avuto alcun impatto sulla commistione tra pubblico e privato, non avvertiamo nuove problematiche per le imprese straniere che hanno base in Cina. Un discorso diverso va fatto per certe tipologie di aziende cinesi, realtà di grandi dimensioni di settori strategici come il Fintech, per i quali però hanno maggior peso le connotazioni di tipo politico-strategico.
Tra cambiamenti politici (Italia compresa con il nuovo governo) e turbolenze geopolitiche (dall'Ucraina alle tensioni in Asia orientale) crede che l'Italia debba cambiare qualcosa nel suo approccio alla Cina oppure ritiene che possa cambiare qualcosa da parte cinese?
Bisogna ammettere che negli ultimi anni l’Italia ha avuto una posizione ondivaga sul tema dei rapporti con la Cina. Non dimentichiamo che ad oggi siamo l’unico Paese G7 ad avere firmato l'MoU sulla Nuova Via della Seta. Subito dopo c’è stato una sorta di distacco, che ha raggiunto il suo massimo con il blocco dei voli dalla Cina, siamo stati uno dei primi Paesi a farlo. Il nuovo Governo ha dichiarato chiaramente il suo filoatlantismo ma ha anche indicato la Cina come una minaccia da temere. In queste sue posizioni l’Italia è chiaramente allineata alla posizione dell’Unione Europea e della gran parte dei Paesi occidentali, e questo ha comportato giudizi negativi nella gestione dei rapporti con Pechino. Mi auguro però che queste affermazioni siano legate a un fatto contingente e che ci si ricreda presto, considerando che della Cina oggi non si può fare a meno. Spero di sentire presto una riflessione approfondita sull’interesse innegabile per noi ad avere un buon rapporto con Pechino. Per quanto riguarda l’approccio cinese, va detto che in questo momento storico, la posizione attendista in ambito geopolitico viene giudicata negativamente e certo non ha un buon impatto sui suoi interessi economici. Un comportamento difficile da cambiare per un Paese che nei secoli è stato caratterizzato da un atteggiamento prudente. Tutto questo però fa male alla Cina e anche a noi, sarebbe davvero auspicabile un cambiamento nell’interesse di tutti.