Esteri
COP21, a Parigi si punta all'accordo storico sul clima
di Paola Serristori
E' iniziata coi migliori auspici la ventunesima conferenza dell'Onu sul clima, COP21, a Parigi. Un record i 150 capi di Stato presenti, numero che aveva oscillato da 142 a 147 e che non ha risentito del pericolo terrorismo. Infatti nessuno dei partecipanti previsti ha disdetto l'impegno ad esserci. A Le Bourget i lavori proseguono come in un bunker, dove 130 mila uomini della sicurezza, tra i quali gli specialisti dei caschi blu, fermano anche le navette del trasporto pubblico organizzate per delegati e pubblico. Il presidente francese Francois Hollande ha posto le condizioni per giungere alle decisioni entro il 12 dicembre: un accordo universale, differenziato e vincolante. A differenza dell'ultimo vertice, fallimentare, a Copenhagen nel 2009, ora i Paesi ricchi e inquinatori sono almeno d'accordo sul finanziamento ai Paesi in via sviluppo per aiutarli a scegliere energie meno inquinanti: la base di partenza è 100 miliardi euro all'anno, dal fondo creato dai Paesi industrializzati, altro punto dell'accordo che sarà firmato a Parigi. L'accordo non è in discussione, lo si capisce dall'impegno profuso dalla diplomazia francese nel contattare ed invitare delegazioni da ognidove. La volontà di arrestare lo scioglimento dei ghiacciai, l'innalzamento del livello degli oceani e l'erosione delle terre, inondazioni, uragani, è forte della consapevolezza che si è giunti vicino alla catastrofe.
Nei colloqui bilaterali che si tengono anche nei corridoi - il premier italiano Matteo Renzi si è intrattenuto a lungo con emissari dei Paesi arabi - bisognerà limare le divergenze su quanto e quando cambiare il sistema energetico. L'obiettivo è contenere il surriscaldamento della Terra entro 2 °C entro la fine del secolo. Ma già si ascoltano parecchie voci affinché si scenda a 1,5 °C . I Paesi africani, ed anche l'Asia, mettono davanti lo scenario di zone particolarmente povere dove bisogna portare l'energia e sulla scelta di quale tipo di energia chiedono aiuti in termini economici e di tecnologia.
Nei discorsi ufficiali di apertura della conferenza - ogni Capo di Stato aveva a disposizione solo 3 minuti per la dichiarazione “d'intenti” - tutti si sono pronunciati con le migliori intenzioni. Persino il presidente americano Barack Obama ha riconosciuto di rappresentare il secondo Paese più inquinante del mondo, garantendo però di volere “salvare il Pianeta”. A sua volta avrà da vedersela col Congresso, dove i repubblicani hanno la maggioranza e si sono già detti contrari alle energie “pulite” per via di interessi lobbistici. Il Cancelliere tedesco Angela Merkel ha citato il 2020 come data di brusca riduzione dell'uso del carbone. Il presidente russo Vladimir Putin ha chiesto un accordo globale ed equilibrato. E la Cina, che in questi giorni si confronta con l'emergenza inquinamento a Pechino, dove la concentrazione di polveri sottili ha superato di quindici volte il massimo consentito, attraverso il presidente Xi Jinping, ha preso l'impegno di assegnare il 20 per cento della quota di energia necessaria al Paese a sistemi “green”.
Il miliardario Bill Gates ha annunciato a Le Bourget che destinerà 2 miliardi euro all'anno alla causa. E pure il primo ministro indiano, superando una posizione contraria da decenni, ha dichiarato l'apertura all'energia solare.
Nel freddo pungente della sera, in una giornata dal cielo plumbeo, poco oltre le venti il corteo di limousine del presidente americano Barack Obama ha raggiunto il ristorante pluristellato Ambroisie in place des Vosges, in mezzo a poliziotti ogni cento metri, insieme al ministro degli Esteri Laurent Fabius, presidente della COP21, al ministro dell'Ambiente Segolene Royal, ed al presidente della Francia Francois Hollande per una cena sui destini del mondo.