Esteri

Coronavirus, Xi a Wuhan: la Cina vede la vittoria, cigno nero verso Occidente

Lorenzo Lamperti

Pechino, pur tra errori, ritardi e un alto prezzo sanitario ed economico, si avvia alla ripresa. Ora sono Europa e Usa a tremare

La battaglia è (quasi) vinta. Questo il messaggio che arriva da Wuhan, epicentro iniziale dell'epidemia da coronavirus che sta sconvolgendo il mondo da gennaio. Qui, 50 giorni dopo l'annuncio uffiaicle dell'emergenza (e almeno un paio di settimane dopo che tutto era effettivamente cominciato), ha fatto la sua comparsa Xi Jinping. Il presidente cinese ha compiuto la sua prima visita nella capitale dello Hubei, parlando di una situazione che "ha mostrato positivi cambiamenti con importanti progressi" dopo "sforzi decisi, solidi e meticolosi di prevenzione e controllo a difesa dell'Hubei e di Wuhan". 

Il messaggio è chiaro: la vittoria per la Cina è vicina e quel "demone" (riferimento importante a livello storico e culturale per il popolo cinese) a cui Xi aveva dichiarato guerra sembra poter essere sconfitto. Anche perché l'epidemia pare essere stata limitata proprio a Wuhan, dove si sono registrati soli 17 nuovi casi nelle ultime 24 ore. Il dato più basso da quando è cominciato l'incubo Covid-19. Xi ha parlato con medici, amministratori locali, ricercatori e team medico dell'Oms. Stando alla versione ufficiale, non ci sono state critiche o proteste durante la visita di Xi (significativamente accompagnato dal cervello della narrativa PCC durante la crisi, Wang Huning), anche se solo pochi giorni fa c'era stata qualche protesta durante quella della vice premier Sun Chunlan.

La battaglia, se davvero vinta, è stata vinta con numerose vittime. I morti sono stati finora oltre tremila e diverse piccole o medie imprese faranno fatica a sopravvivere dopo il lungo blocco alla quale sono stati costretti. Con la conseguenza della creazione di centinaia di migliaia di disoccupati, forse alcuni milioni. Eppure, come scritto già qualche giorno fa da Affaritaliani.it, la sensazione è che alla fine le conseguenze politiche più rilevanti della crisi potrebbe non pagarle la Cina. 

Per settimane si è pensato che il coronavirus potesse rappresentare il "cigno nero" per il Partito Comunista Cinese, e invece rischia di diventarlo per altri leader e democrazie occidentali, meno preparate ad affrontare l'epidemia. Ciò non significa che il modello cinese, reso possibile dal sistema autocratico ma anche da una importante componente culturale, sia perfetto. Gli errori, i ritardi, le omissioni, ci sono stati. Come ci sono stati ovunque. La differenza è che, una volta dichiarata l'emergenza, la Cina si è mossa in fretta prendendo misure senza precedenti.

Certo, anche modelli democratici di contenimento, come quellio della Corea del Sud, o di prevenzione, come quello di Taiwan, sembrano portare risultati positivi. Ma qui entra in gioco la componente culturale: in Asia orientale i cittadini sono più preparati a situazioni del genere (avendone vissute altre simili di recente) e dunque più propense ad accettare limitazioni alla propria libertà personale per riuscire a sconfiggere il virus. Molto meno quelli occidentali.

C'è anche da considerare un semplice fatto temporale. La Cina, essendo stata la prima ad affrontare l'emergenza, sarà la prima a uscirne. Quando gli altri ci saranno ancora dentro. L'Europa, probabilmente con settimane di ritardo, sta prendendo contromisure importanti. Molto meno gli Stati Uniti, dove anzi Donald Trump continua a minimizzare l'emergenza, ma il rischio che l'epidemia si diffonda in modo rilevante negli States esiste eccome. E nell'anno delle elezioni presidenziali potrebbe rappresentare davvero un brutto problema per l'attuale inquilino della Casa Bianca.

Gli schieramenti si stanno già sistemando su uno dei temi che probabilmente dominerà il dibattito politico Usa (e non solo) dei prossimi mesi. Joe Biden (soprattutto), ma anche Bernie Sanders, stanno attaccando Trump per il modo in cui sta gestendo il caso, mentre il presidente mette nel mirino la Cina, addossando tutte le colpe ai presunti ritardi o censure di Pechino. Difficile pensare che anche altrove, in particolare in Europa, alcuni leader politici non possano pagare la superficialità con la quale è stata inizialmente trattata l'emergenza.

Pechino pagherà conseguenze importanti, soprattutto a livello economico, ma sta già programmando nel lungo periodo la ripartenza. Possibile che allora nel lungo periodo la Cina possa uscire come vincitrice a livello globale dall'emergenza partita proprio dal suo territorio. Il "cigno nero" si libra verso Occidente.