Esteri
Prima saccheggiano la Grecia. Poi la cacciano dall'euro
Di Armando Siri, responsabile economico di "Noi con Salvini"
Fareste mai affondare una barca dove avete custodito un tesoro? No. Non è la prima volta che la piccola imbarcazione ateniese si trova in pericolo nel mare dell'Eurozona, solcato senza difficoltà dalle imbarcazioni più solide. Anzi, sono proprio quest'ultime che transitando con i loro potenti motori alzano spesso le onde sulle quali galleggia la barchetta biancoazzurra. In mare però, come sulla terra ferma, l'unica legge valida - nonostante duemila anni di buoni propositi - rimane sempre quella del più forte. Così si è deciso che prima di far affondare la Grecia si dovesse mettere in salvo (accaparrarsi) il tesoro custodito a bordo. L'accordo che è stato raggiunto nei giorni scorsi ha proprio questa finalità.
Di fatto l'Ue, con la Germania in testa, si è assicurata che il prestito concesso in questi anni si traducesse in una vera e propria compravendita, imponendo ad Atene la costituzione di una mega struttura di gestione del patrimonio pubblico greco per 50 miliardi di euro, nella quale far confluire tutti i principali asset pubblici come porti, aeroporti, autostrade e probabilmente la gestione della concessione del gasdotto russo Turkish Stream. L'accordo indica in modo generico la natura di questo ente, stabilendo che sarà gestito dalle autorità greche assieme alle Istituzioni internazionali. E' chiaro a tutti che, di fatto, si tratterà di un ente etero diretto solo da Berlino e Bruxelles, i quali si garantiranno così non solo la certezza patrimoniale del loro prestito, ma anche il ricavato della gestione almeno per i prossimi cento anni.
Dal punto di vista degli equilibri geo-politici, è evidente che la sovranità greca subisce una forte menomazione e limitazione e di questo si avrà maggiore evidenza se dovesse verificarsi un'escalation negativa nei rapporti tra Bruxelles e Mosca, occasione nella quale l'Ue potrà mettere i bastoni tra le ruote a Putin sul suo gasdotto. Un'ipotesi non del tutto remota se si considera il contesto degli attuali rapporti tra Ue e Usa da una parte e Russia e i suoi alletati Brics dall'altra, i quali, per dare una dimostrazione della loro forza, hanno iniziato le grandi manovre esibendo al largo del mare della finanza globalizzata niente di meno che una nuova Banca Mondiale con 100 miliardi di dollari di capitale. Prove di forza che al momento di un'eventuale resa dei conti a suon di dispetti in territorio europeo, vedrebbe di sicuro la Grecia come un terreno di contesa proprio per via del gasdotto russo (che emanciperebbe Putin dai ricatti ucraini). Se accadesse questo, a farne le spese dirette sarebbe solo il nostro Paese che attraverso Saipem del gruppo Eni è impegnato nella realizzazione del mega gasdotto da 2 miliardi di euro.
Per concludere, una volta perfezionata la compravendita, ovvero il passaggio nelle mani dei creditori di tutto quanto di buono e redditizio ci sia dell'economia greca, la successiva uscita dall'Euro non farebbe più alcuna differenza. Anzi, sarebbe auspicabile per evitare il propagarsi di ulteriori effetti di un eventuale contagio. Se la "Grexit" fosse stata fatta prima, allora sì che i creditori avrebbero preso una bella fregatura. Adesso giusto il tempo di perfezionare i poteri del nuovo ente cassaforte e poi, quando fra otto mesi il Paese sarà di nuovo sull'orlo di una crisi di nervi, quando gli ennesimi aiuti ad un'economia inesistente (perché in outsoursing ai creditori) saranno finiti, quanto ancora una volta il Popolo scenderà in piazza, allora sì, in quel caso, ma solo allora, si dirà che il Popolo è sovrano e l'uscita dall'Euro sarà consentita. I Greci saranno soddisfatti perché otterranno finalmente il riconoscimento della loro democrazia, mentre i creditori, dai piani alti dei loro palazzi a vetri a Francoforte, guarderanno con un ghigno l'infinito orizzonte dinnanzi a loro e al loro potere, compiaciuti dell'ennesimo bottino.