Esteri
Guerra Israele, la tregua non spegne l'inferno di Gaza. Le bombe si fermano, ma il massacro continua
A Gaza il silenzio delle armi non basta a dissipare le ombre di un futuro incerto e carico di insidie
Guerra Israele: le bombe si fermano, ma il massacro continua
Dalle prime ore di questa mattina, il cessate il fuoco negoziato tra Israele e Hamas è entrato in vigore. Tre prigionieri israeliani saranno rilasciati in cambio di circa 95 prigionieri palestinesi. "Che le armi finalmente tacciano, che gli ostaggi vengano riuniti ai propri cari e che aiuti e forniture commerciali arrivino alle persone bisognose", ha affermato l'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA) in un post su X, "Molto dipenderà dalla buona volontà delle parti e di coloro che hanno influenza su di esse", ha aggiunto.
Questo fragile accordo, che dovrebbe durare 42 giorni e prevedere tre fasi, rappresenta per molti un’ancora di salvezza in un mare di devastazione. Eppure, a Gaza, il silenzio delle armi non basta a dissipare le ombre di un futuro incerto e carico di insidie.
Ieri sera, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha pronunciato un discorso che poco si addice alla vigilia di una tregua. Ha dichiarato di avere il pieno sostegno degli Stati Uniti per riprendere i combattimenti a Gaza con “modi nuovi ed energici” nella seconda fase dell’accordo. Nel suo lungo intervento, Netanyahu ha affermato che gli israeliani sono “vittoriosi” perché “rifiutano di arrendersi a coloro che si ribellano contro di noi per distruggerci”. Ha poi aggiunto: “La campagna non è ancora finita. Ci aspetta un viaggio lungo e impegnativo. Questo non è il momento di dividere e disperdere, bensì di unire e connettere”.
Otto mesi fa, Netanyahu aveva respinto un piano proposto da Biden, molto simile a quello odierno, e che Hamas aveva accettato in linea di principio. Le conseguenze sono state catastrofiche: decine di migliaia di palestinesi uccisi e intere aree ridotte a cumuli di macerie. Da allora Gaza è stata smantellata sistematicamente: interi quartieri demoliti per ampliare le zone cuscinetto; il Corridoio Netzarim, ulteriormente allargato, ha spezzato in due la Striscia, consolidando la frammentazione e il controllo dell’esercito israeliano. Così facendo, hanno “sequestrato” oltre il 30% del territorio di Gaza, rendendo gran parte del resto inabitabile.
Dall’assedio totale del Nord di Gaza, iniziato alle prime ore del 6 ottobre 2024, Israele ha in gran parte completato il cosiddetto "Piano dei generali", la pulizia etnica dell'intera parte settentrionale della Striscia sopra Gaza City. Beit Hanoun, Beit Lahiya e Jabalia, città che un tempo ospitavano collettivamente oltre 300.000 palestinesi, sono state rase al suolo, come parte di una campagna per spopolare l'area con lo scopo, secondo quanto riporta +972, di gettare le basi per la costruzione di insediamenti ebraici.
Questo cessate il fuoco, pur salvando vite nell’immediato e permettendo ai palestinesi di respirare, non garantisce nulla a lungo termine. Le sue fasi successive dipendono dall'applicazione e dalla volontà di Israele di rispettarle. E al momento, la comunità internazionale non sembra esercitare alcuna pressione significativa sulle bellicose intenzioni di Netanyahu, il cui governo ultranazionalista ha già chiarito che non accetterà altro che una ripresa dell’assalto al termine della prima fase.
Anche se la tregua reggesse per tutti i 42 giorni previsti, Gaza resta un inferno inabitabile. La stragrande maggioranza della popolazione è confinata in campi profughi che non hanno nulla di umano, concentrati nel sud e nel centro della Striscia, dove la sopravvivenza dipende dal capriccio di Israele. E se le bombe si fermano, il genocidio continua. Malattie, malnutrizione e traumi, non curati da un sistema sanitario ridotto in macerie, continueranno a mietere vittime per anni a venire, mentre rendere la terra nuovamente vivibile dopo la devastazione e l'intossicazione richiederà decenni.
Il rischio, dietro l’angolo, è che la tregua diventi un mero interludio in un piano più vasto per ridisegnare Gaza, e oltre. L'ethos “massima terra, minimo di arabi” non è solo un vecchio slogan sionista, ma un progetto in atto, messo in scena sotto gli occhi indifferenti di un mondo che fatica a comprendere che Gaza non è solo una questione palestinese, ma una prova cruciale per l'umanità e la giustizia globale. Il pericolo che si trasformi in un pretesto per nuovi crimini è ben più che una possibilità: è un'ombra che incombe su tutti noi.