Esteri
Guerra, l'Onu chiede la pace. Ma Biden invia a Israele nuove armi per fare altre centinaia di morti a Gaza
All'apparenza Biden esprime dubbi sull'aggressività militare di Israele, ma in realtà firma per spedire nuove armi e causare altre centinaia di morti a Gaza
Guerra, gli Stati Uniti spediscono nuove armi per miliardi di dollari all'esercito israeliano
Nella notte raid israeliani si sono susseguiti senza sosta nella Striscia di Gaza. Decine i palestinesi rimasti uccisi, fra cui 15 persone, per lo più donne e bambini, rifugiate in un centro sportivo dove si trovano accalcati centinaia di sfollati di guerra. Anche se più che una guerra quella alla quale stiamo assistendo ha i tratti di una atroce e spietata rappresaglia mossa dall’odio e dalla vendetta. Un conflitto costellato di contraddizioni che emergono ogni giorno, ad ogni passo, ad ogni dichiarazione.
All’apparenza i rapporti fra Israele e U.S.A., alleato storico e incrollabile dello stato ebraico, sono arrivati ai minimi storici, se così si può dire. Sono settimane che Biden e i suoi esprimono pubblicamente crescenti preoccupazioni per la possibile offensiva militare di terra nella parte meridionale della Striscia. Da altrettante settimane Bibi Netanyahu risponde all’alleato riaffermando con forza la volontà di “finire il lavoro iniziato a Gaza e passare all’offensiva su Rafah”.
Concetto che rimanda inevitabilmente a quello macabro nazista della “Soluzione finale”. Ma oggi se provi a capire o a dissentire col mainstream sostenuto dalla propaganda vieni subito accusato di antisemitismo quindi tutti stanno zitti e si guardano bene dal farlo, ancor più dallo scriverlo. Ma tant’è. Dicevamo, invece di sostenere ciò che dicono con ciò che fanno, Biden e la sua amministrazione hanno approvato il trasferimento di armi a Israele per un valore di miliardi di dollari.
Secondo il Washington Post, che cita fonti anonime del Pentagono e Dipartimento di Stato, c’è una vera e propria “lista della spesa” che include oltre 2.300 bombe, le micidiali MK84, quelle sganciate in questi mesi su Gaza e che l’hanno quasi rasa al suolo, e le più “leggere” MK82, oltre a 25 caccia Lockheed Martin F-35. Una volta consegnati, la dimensione totale della flotta israeliana arriverà a 75 velivoli.
Sul fronte di Gaza sappiamo invece per certo che la fame dilaga e non è più un rischio ma un’atroce realtà. Una fame pianificata, usata come arma di guerra. E malgrado Israele e il suo Governo neghino a oltranza l’accusa, la Corte internazionale penale di Giustizia dell’Aia due giorni fa ha ordinato a Israele “in conformità con i propri obblighi relativi alla Convenzione per la Prevenzione del crimine di Genocidio, e in vista delle condizioni di vita sempre peggiori dei palestinesi a Gaza, di adottare tutte le misure necessarie ed efficaci per assicurare, senza ulteriori ritardi e in piena cooperazione con le Nazioni Unite, l'accesso senza restrizioni [...] aumentando la capacità e il numero dei valichi e mantenendoli aperti per tutto il tempo necessario".
L’ordine, legalmente vincolante, segue di pochi giorni la risoluzione per il Cessate il fuoco dell’ONU. Eppure, a giudicare dalle ultime 72 ore, Israele sembra intenzionata a ignorarlo, così come ha fatto sempre, per ogni risoluzione o provvedimento preso nei suoi confronti, e non solo a partire da dagli ultimi emessi dalla Corte di Giustizia o dall’ONU.
Basti pensare al divieto fatto di costruire nuove colonie nei territori occupati della Cisgiordania. Da quando è stato emesso, in seno agli accordi di Oslo del 1993, il numero di insediamenti e di coloni è decuplicato: solo negli ultimi 6 mesi di guerra ne sono stati realizzati 10 e il numero di ebrei che risiedono illegalmente in Palestina adesso sfiora il milione di persone, mentre i palestinesi nel 2023 risultavano essere 5.483.450.
E oggi in Palestina ricorre il “Il Giorno della Terra”, in arabo Yawm al-ʾArḍ, una ricorrenza annuale che commemora i caduti arabi israeliani negli scontri avvenuti in Gallilea il 30 marzo 1976. Quel giorno di 48 anni fa, per reprimere le manifestazioni spontanee seguite alla decisione delle autorità israeliane di espropriare per presunti scopi militari 2.000 ettari di terreni agricoli appartenenti alla comunità araba, l’esercito israeliano fece irruzione nei villaggi di Sakhnin, Arraba e Deir Hanna uccidendo sette palestinesi inermi, tra cui una donna, ferendone un centinaio e arrestandone a centinaia.
Gli studi sul conflitto israelo-palestinese riconoscono a questa Giornata della Terra un’importanza cruciale nella lotta per la salvaguardia delle proprie terre e nel rapporto dei cittadini arabi rispetto allo Stato e al corpo politico israeliano. Quella manifestazione pacifica di protesta, che si svolse dalla Galilea al Negev, per la prima volta dal 1948 vide gli arabi dare una risposta alle politiche israeliane come collettivo nazionale palestinese. Da allora è un importante giorno di commemorazione nel calendario politico nazionale palestinese, celebrato non solo dai cittadini arabi di Israele, ma anche dai palestinesi di tutto il mondo