Esteri
Guerra Ucraina, Biden invia mine antiuomo a Kiev: così gli Usa tornano indietro di trent'anni e distruggono il diritto internazionale
Una sconfitta per il diritto internazionale. La Convenzione di Ottawa del 1997, firmata da 164 Stati, proibisce l’uso, la produzione e lo stoccaggio di mine antiuomo
Guerra Ucraina, Biden invia mine antiuomo: una sconfitta dell’umanità
La legge italiana 185/1990, che regola il controllo e l'esportazione di armamenti, è un simbolo delle grandi battaglie civili per mettere al bando le mine antiuomo, una causa che ha visto l’Italia tra i protagonisti. Nicoletta Dentico, esperta di diritti umani e allora coordinatrice di quella storica campagna, ha ricordato oggi su Radio3 il ruolo centrale dell’Italia: un Paese che, negli anni Novanta, era tra i principali produttori di mine, con aziende come la Fiat che ne traevano enormi profitti, e che poi divenne un modello per la messa al bando di questi ordigni.
La notizia dell’invio di mine antiuomo all’Ucraina da parte degli Stati Uniti, decisione annunciata dal presidente Biden, è un colpo devastante a un traguardo considerato acquisito. Una mossa che riporta il mondo indietro di decenni e che, come sottolineato dalla Dentico, rappresenta una sconfitta per chi ha lottato per anni contro la produzione e l’uso di queste armi.
Il trattato di Ottawa: una conquista fragile
La Convenzione di Ottawa del 1997, firmata da 164 Stati, proibisce l’uso, la produzione e lo stoccaggio di mine antiuomo. Sebbene Stati Uniti, Russia, Cina e Israele non abbiano mai ratificato l’accordo, esso aveva creato uno stigma globale contro queste armi. Anche Paesi non firmatari avevano ridotto significativamente la produzione e l’uso di mine, dimostrando che una pressione internazionale ben orchestrata poteva limitare le pratiche belliche più disumane. Oggi, però, quella fragile conquista è a rischio. La decisione di Biden di fornire mine “a tempo” all’Ucraina, presentate come tecnologicamente avanzate e meno pericolose, è un tragico paradosso: quelle stesse mine continuano a mutilare e uccidere decenni dopo essere state posate, come dimostrano i drammatici esempi di Paesi come Laos, Vietnam e Afghanistan, ancora infestati da ordigni inesplosi.
Un passo indietro di trent’anni
La retorica dietro questa decisione è spiazzante: si parla di mine “politicamente corrette”, che si autodisattivano dopo 7-15 giorni. Ma la realtà, evidenziata da esperti come la Dentico, è ben diversa. La bonifica di un territorio minato richiede enormi risorse finanziarie e umane, mentre le vittime di queste armi, spesso bambini, continuano a crescere.
La scelta di Biden, maturata negli ultimi giorni del suo mandato, non è solo una sconfitta per il diritto internazionale, ma un ulteriore colpo al già fragile sistema di regole globali ereditato dal dopoguerra. Come in Medio Oriente, dove il diritto internazionale è stato sabotato dalla condotta di Israele, anche in Ucraina si assiste all’erosione di principi che dovrebbero essere inviolabili.
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Il silenzio delle coscienze
La società civile, un tempo motore di cambiamenti epocali, sembra oggi incapace di mobilitarsi con la stessa efficacia. Intanto, negli stessi Stati Uniti, il sistema legislativo continua a subire pressioni dalle lobby delle armi, mentre in Italia è in discussione una revisione peggiorativa della legge 185. Le mine antiuomo, che un tempo univano l’umanità in una battaglia comune per la loro abolizione, tornano ora a essere strumento di guerra e morte. E con loro torna l’urgenza di una risposta collettiva, per non lasciare che i progressi conquistati con fatica vengano sepolti sotto i calcinacci di un mondo sempre più indifferente.