Esteri

Guerra Ucraina, Russia e Cina alleate ma non troppo. Taiwan dopo Kiev? Non ora

di Lorenzo Lamperti

Pechino non condanna l'invasione ma ribadisce il sostegno all'integrità territoriale di Kiev e prova a fare da mediatore. Su Taipei sfida decisiva ma non subito

Guerra in Ucraina: la Cina non condanna Putin ma prova a fare da mediatore con Kiev

La forma c'è tutta, ma alla prova del campo l'allineamento resta totale solo sul piano retorico. Almeno per ora. Oltre il contorno solenne dell'incontro tra Xi Jinping e Vladimir Putin ai Giochi Olimpici Invernali e dietro il flusso del gas, elemento più concreto del documento congiunto siglato dai due leader lo scorso 4 febbraio, tra Cina e Russia restano interessi divergenti. Anche sulla questione ucraina, dove anzi ora Pechino cerca di ritagliarsi il ruolo di grande mediatore. Non sorprenda l'astensione alla risoluzione Onu, più che ampiamente prevedibile vista la solita linea di non interferenza negli affari esteri adottata da Pechino. Linea peraltro adottata anche dall'India, (molto) teorico alleato degli Usa in ambito Quad (la piattaforma di sicurezza dell'Asia-Pacifico che Washington spera(va) di trasformare in una Nato asiatica).

Vero, mentre il mondo condannava l'azione militare russa, la Cina tirava il freno: "Invasione? Si tratta di un uso preconcetto delle parole e del tipico stile di fare domande dei media occidentali", ha dichiarato gioveì la portavoce del ministero degli Esteri Hua Chunying. Vero, sembra difficile pensare che Xi non sapesse nulla dopo aver incontrato Putin. Ma lo stupore dei funzionari cinesi rispetto alla vastità delle operazioni russe in Ucraina lascia immaginare (senza possibilità di conferma) che forse a Pechino ci si attendeva un'incursione limitata alla regione del Donbass. La stessa "incursione limitata" di cui aveva parlato Joe Biden e che il presidente americano aveva lasciato intendere di poter accettare senza reazioni scomposte.

Ma ieri sono successe due cose rilevanti. Prima la telefonata tra Xi Jinping e Vladimir Putin, nel quale il comunicato russo sottolinea i toni amichevoli del dialogo ma nella quale il presidente cinese si è reso disponibile a sostenere la ripresa del dialogo con Kiev.

E poi le parole, importanti, del ministro Wang Yi. L'attuale situazione in Ucraina "è qualcosa che la Cina non vuole vedere", ha dichiarato il capo della diplomazia cinese e "tutte le parti devono astenersi" dalle ostilità. E ancora, parlando con l'Alto Rappresentante delle Politiche Europee Estere e di Sicurezza, Josep Borrell, con la ministro degli Esteri britannica, Liz Truss, e con Emmanuel Bonne, consigliere diplomatico del presidente francese, Emmanuel Macron: "La Cina ribadisce il proprio sostegno alla sovranità e all'integrità territoriale di tutti i paesi, e "questa posizione coerente e chiara si applica anche all'Ucraina". 

Nei colloqui, secondo quanto riferisce una nota del ministero degli Esteri di Pechino, Wang ha esposto i cinque punti della posizione della Cina che comprendono, oltre al rispetto della sovranità, anche "un concetto di sicurezza comune, completo, cooperativo e sostenibile", in cui si precisa che "le legittime preoccupazioni di sicurezza degli Stati devono essere rispettate", con un richiamo che prende in considerazione la posizione della Russia.

Cina-Russia, un'alleanza retorica che (per ora) sul campo non è completa

Di fatto, Wang ha ribadito quanto aveva detto alla Conferenza sulla Sicurezza di Mosca della scorsa settimana. Ma, significativamente, lo ha fatto dopo l'invasione e dopo che molte ricostruzioni descrivevano un accordo tra Cina e Russia sull'azione di Putin. Le frasi di Wang sono pesate col bilancino: da una parte sostiene la sovranità dell'Ucraina come ha sempre fatto in 30 anni di relazioni, dall'altra difende le rivendicazioni cinesi su Taiwan (che non fa parte dell'Onu). Pechino non ha mai riconosciuto l'annessione della Crimea, nonostante abbia utilizzato quella crisi per attrarre a sé Mosca. Difficile possa riconoscere Donetsk e Lugansk, la cui secessione rappresenta per alcuni osservatori cinesi "uno schiaffo" a Xi Jinping stesso, fermo nella sua opposizione al principio di autodeterminazione che fa valere in Tibet, Xinjiang, Hong Kong e (anche se non la controlla) Taiwan.

A proposito di Taiwan, è chiaro che il fulcro delle tensioni geopolitiche future si concentri nell'Asia Pacifico. E che la valenza di Taipei per Washington è molto più alta di quanto non sia Kiev. Basti pensare che l'Ucraina è il 67esimo partner commerciale degli Stati Uniti, mentre Taiwan il nono. Per non parlare della centralità a livello globale della sua produzione di semiconduttori. Ma Xi non è Putin. Se il presidente russo ragiona per sfere di influenza come durante la guerra fredda, quello cinese presiede un gigante con interconnessioni economiche col resto del mondo molto più profonde di quelle della Russia. Per non parlare del XX Congresso del Partito comunista, che dovrà sancirne il terzo mandato, alle porte. Non deve stupire la concezione morbida sull'invasione da parte della Cina. Per la Cina Taiwan è territorio cinese: è così da 72 anni. Se attacco a Taiwan sarà, non sarà adesso. E non sarà collegato a quanto accade in Ucraina.

Interessante, tornando alla presunta alleanza sinorussa, lo spazio concesso nei giorni scorsi sulla CGTN, l'emittente cinese di Stato, a un'intervista a Mykhailo Podolyak, consigliere della presidenza ucraina. "La Cina non gioca con la storia come fa la Russia" ha detto Podolyak. "Questo perché la Repubblica Popolare è un paese veramente forte". Un segnale importante per capire che al di là dei comunicati ufficiali si cela qualcosa di più complicato.

Gli interessi di Mosca e Pechino, d'altronde, collimano soprattutto su un punto: la retorica anti-americana. Sul dossier ucraino i media cinesi non hanno mai criticato Kiev: i "cattivi" sono sempre Washington e la Nato. Per Cina e Russia, magnificare la profondità del rapporto rappresenta una leva negoziale nei confronti degli Usa o dei rispettivi vicini. Per questo i passi di avvicinamento vengono fatti sotto i riflettori, non nell'ombra. Come, dopo l'annuncio di Aukus, col passaggio congiunto delle due flotte nello stretto di Tsugaru, tra le due principali isole giapponesi. Ma Mosca non apre la rotta artica più interna alla via della seta polare cinese e continua a rifornire di armi India e Vietnam, due rivali di Pechino. L'interscambio commerciale ha raggiunto il record storico nel 2021 (147 miliardi di dollari) ma la Russia non cede il controllo di infrastrutture sensibili. 

Il completamento della costruzione del ponte sul fiume Amur, sul confine comune, dimostra che i tempi del "pericolo giallo" sono per ora archiviati. Ma Mosca percepisce il rischio di diventare un semplice partner minore, esposto a future ritorsioni. Durante la guerra fredda le divergenze tra le due potenze comuniste portarono alla separazione: a Mao Zedong il ruolo di sponda andava stretto. Il complesso di inferiorità dei tempi di Mao è diventato un netto senso di superiorità: Pechino si sente il fratello più grande e non ha intenzione di condividere il timone. Anzi, osserva con inquietudine le mosse avventate di un partner che percepisce funzionale a livello retorico ma talvolta scomodo su quello pratico. Foreign Affairs ha sottolineato come la crisi ucraina metta "a nudo i limiti della politica estera di Xi". Le aspirazioni globali si scontrano ora col desiderio della Cina di rimanere "selettivamente ambigua e distaccata".

Legando il suo destino a quello dell'impresa ucraina di Putin, la Cina rischia di evidenziare le sue contraddizioni. O, in alternativa, di svelare che dietro la tattica si cela un bluff.

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