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Esteri
Usa, per i dem a Gaza è genocidio: Biden contestato dai suoi stessi elettori

Indagine conferma genocidio a Gaza e nell’Ospedale al-Shifa scoperta nuova fossa comune

Dopo lo stop ai rifornimenti bellici a Israele, decisione che ha suscitato le stizzite e arroganti risposte di Netanyahu e del suo ambasciatore presso le Nazioni Unite Gilarda Erdan, oggi arriva la notizia che anche la  maggioranza degli elettori del Partito Democratico del presidente Biden concorda sul fatto che l’alleato storico degli Stati Uniti sta commettendo un genocidio a Gaza. E lo dice a ragion veduta, dopo aver preso visione di una approfondita indagine condotta da Data Progress in collaborazione con Zeteo.

L’indagine ha rilevato che il 56% degli intervistati democratici è d’accordo con le accuse di genocidio contro Israele, mentre solo il 22% le respinge. Una maggioranza pari al 39% degli intervistati ha affermato che Israele sta compiendo un genocidio a Gaza. 

In vista delle elezioni presidenziali di novembre, i risultati di questa ricerca potrebbero determinare grossi problemi politici per Biden che sta affrontando crescenti pressioni interne da parte della sua base democratica per il sostegno “corazzato” dato a Israele. L’indagine, che include anche le risposte di 1.265 probabili elettori statunitensi, rileva inoltre che il 70% degli intervistati sostiene un cessate il fuoco permanente a Gaza. 

Di diverso avviso sono un gruppo di 12 senatori americani i quali, in pieno stile mafioso, qualche giorno fa hanno indirizzato una missiva al procuratore capo della Corte Penale Internazionale di Giustizia Karim Ahmad Khan. La quale Corte, come noto, sta valutando l’incriminazione del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e di altri alti funzionari israeliani in quanto responsabili diretti del più grande massacro di civili nel più breve tempo dal 1945. E che quella portata avanti dall'Esercito del Signore con tanta meticolosa ed etica attenzione non sia una guerra ma uno degli stermini  più efferati della storia dell’umanità, lo ha ben chiaro chiunque abbia ancora occhi per vedere e una testa in grado di ragionare autonomante.

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Ebbene, questo azzimato manipolo di gangster, nella sua lettera di stampo mafioso minaccia il procuratore capo di "dure sanzioni" nel caso in cui la Corte che preside si azzardi a emettere un mandato d'arresto nei confronti di Benjamin Netanyahu e dei suoi sodali. Inoltre, lo avverte che nel caso in cui proseguisse in questa sua malsana intenzione, gli Stati Uniti non tollereranno i suoi “attacchi politicizzati” nei confronti dei suoi alleati. “Prendete di mira Israele, e noi prenderemo di mira voi. Se procederete con le misure indicate nel rapporto, ci attiveremo per porre fine a ogni forma di sostegno Usa alla Cpi, sanzioneremo i vostri dipendenti e associati, e vieteremo l’ingresso negli Stati Uniti a voi e alle vostre famiglie. Siete stati avvertiti”.

Forse nemmeno Coppola e Puzo, sceneggiatori della grande saga dedicata ai Corleone, sarebbero stati in grado di concepire un simile copione. Stiamo parlando di senatori della madre di tutte le democrazie, non di bulli fuoriusciti dal clan corleonese. Eppure, questo è il linguaggio del mondo di oggi. Un mondo dove gli studenti che stanno protestando contro il genocidio in corso vengono ribattezzati “Anti-israeliani” e “pro-Hamas”, accusati di antisemitismo e terrorismo. Arrestati a migliaia, malmenati brutalmente. E altrettanto brutalmente cacciati dalle università insieme a centinaia di professori che hanno avuto il coraggio e l’ardire di manifestare il loro dissenso nei confronti dell’atroce sterminio di palestinesi in corso a Gaza.

Forse val la pena ricordare come l’ONU definisce il genocidio: “atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”, comprese le uccisioni e le misure per prevenire le nascite. Se tutto quello al quale abbiamo assistito in questi mesi non corrisponde a questa definizione del genocidio, qualcuno ci spieghi e ci spieghi che cosa è.

E come se non bastassero già tutte le evidenze dei crimini commessi in 8 mesi di pulizia etnica, ieri è arrivato l'annuncio della scoperta di una nuova fossa comune nel cortile del complesso dell'ospedale medico Nasser a Khan Yunis. Qui, dopo il ritiro delle forze di occupazione israeliane dall'area, erano già state rinvenute due fosse comuni dalle quali sono stati estratti 490 corpi. Con quelli estratti ieri il numero è passato a 539. La maggioranza dei 49 corpi palestinesi rinvenuti in questa terza fossa erano decomposti. L’Ufficio stampa del governo di Gaza ha confermato che ad alcuni di loro mancava la testa, altri avevano gli arti tagliati e ad alcuni mancavano gli organi. Nel comunicato si ipotizza siano stati rubati dall'esercito prima di seppellire i corpi. Dettagli terrificanti che ricostruiscono  in maniera sempre più evidente l’orrore che deve essere andato in scena all’interno del complesso ospedaliero durante il raid israeliano. 

Dall’altra parte, in quel che resta della Cisgiordania, si susseguono senza sosta i raid distruttivi e le esecuzioni sommarie dei palestinesi da parte dei coloni ortodossi. Human Rights Watch ha affermato che le esecuzioni di palestinesi in Cisgiordania stanno avvenendo a un livello senza precedenti nella storia e inoltre denunciano che le forze israeliane non hanno la minima intenzione né di intervenire né di rispondere dei propri atti.

Sono ormai all’ordine del giorno le invasioni di villaggi palestinesi da parte di bande armate di coloni che sotto gli occhi dei soldati dell’esercito distruggono piantagioni, le incendiano, danneggiano case, invadono villaggi, minacciano la popolazione, uccidono. Lo scopo è seminare il terrore e il panico fra i palestinesi e spingerli ad abbandonare la loro terra. Una tecnica che gli ebrei israeliani conoscono molto bene e che hanno iniziato a mettere in pratica 77 anni fa, ancora prima che Israele vedesse la luce, all’indomani dell’estorta Risoluzione 181 votata alle NU il 29 novembre 1947, con la quale si legittimava la nascita dello stato ebraico. Strategia del terrore che ancora prima del 14 maggio 1948 spinse oltre 700.000 palestinesi a fuggire dalla Palestina, lasciando dietro di sé beni immobili, terre, ricordi, suppellettili, denaro nella vana speranza di mettersi in salvo e poter tornare nelle loro case una volta che i disordini e la guerra civile scatenatasi negli ultimi mesi del mandato britannico si fosse risolta.

Quei 700.000 palestinesi non sono mai più tornati. Così come non sono mai più tornati i 750.000 palestinesi deportati fuori dalla Palestina da Israele, dopo la sua nascita. Tutti loro sono “i primi attori di una tragedia che grava sulla coscienza di Israele e del mondo: quella dei profughi palestinesi”. Una tragedia sulla quale non è mai stata scritta la parola fine. E che attende ancora gli sia resa giustizia.

E non più tardi di ieri fonti dell'AFP hanno confermato che nel deserto del Negev le autorità israeliane hanno proceduto con i bulldozer alla distruzione di un villaggio di circa 50 case, tutte appartenenti a una delle tante comunità beduine del deserto. Adesso più di 500 persone, molte delle quali donne e bambini, sono senza tetto. Con la polizia schierata per monitorare l'operazione, i bulldozer hanno proceduto a radere al suolo tutto sotto lo sguardo terrorizzato e incredulo degli abitanti. Israele considera illegali le case costruite a Wadi al-Khalil. Lo ha ribadito ieri il ministro della Sicurezza nazionale di estrema destra, Itamar Ben Gvir, il quale ha messo in guardia chiunque "violi la legge nel deserto del Negev" e ha salutato le demolizioni come "una importante mossa di sovranità". Sul villaggio distrutto passerà un'autostrada.






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