Esteri
Israele punta sul valico di Rafah e prepara il bagno di sangue
Con una pioggia di volantini e sms da questa mattina l’IDF intima ai profughi palestinesi di Rafah l’evacuazione immediata
Guerra in Medio Oriente, Israele conquista Rafah: ennesima tragedia in arrivo
Dopo la pioggia di bombe piovute su Rafah anche nella notte, intensificatasi in concomitanza al tragico naufragio delle trattative in corso con Hamas, oggi la città si è svegliata sotto una pioggia di volantini nei quali è riportato l’ordine immediato di evacuazione. Non c’è Est e non è Ovest, come riportano alcune testate. Il piano prevede di iniziare da un settore, per poi procedere poi velocemente con l’evacuazione totale. Obiettivo, spingere un milione e mezzo di disperati fuori dall’ultima città rimasta in piedi.
Una distesa biblica di esseri umani, già provati da sette mesi di bombardamenti e massacri quotidiani, che come in un formicaio impazzito viene costretta a smontare letteralmente le tende per dirigersi in una zona ancora più ristretta e pericolosa, quella costiera di al- Mawasi, all’altezza della scomparsa città di Khan Yunis, dove si stanno dirigendo a piedi, in macchina – i pochi che l’hanno ancora-, e su carretti trainati da asini sui quali caricano vecchi, bambini, quel poco che gli resta e che non include né cibo né denaro.
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Da settimane centinaia di carri armati sono schierati intorno al perimetro che delimita Rafah, incuneata nell’angolo estremo della Striscia, in attesa di ricevere il via libera all’invasione di terra, pianificata dall’IDF e dal gabinetto di Guerra da almeno due mesi. Una trappola che non lascia scampo.
Si può deplorare e condannare allo sfinimento Hamas, il suo attacco del 7 ottobre e il suo modo incomprensibile e scellerato di guidare quella che definisce la “resistenza del popolo palestinese”. Tuttavia, dopo sette mesi di orrore, nel corso dei quali Israele e il suo esercito - che nessuno sano di monte può ancora definire “il più morale e etico del mondo”-, hanno attuato la più crudele e feroce pulizia etnica di un popolo, nessuno può restare in silenzio davanti a questo “reality show” dove tutto è peggiore dei più distopici scenari apocalittici vagheggiati dalle mega produzioni hollywoodiane. Qui non siamo di fronte a un film, non ci sono effetti speciali. È tutto oscenamente e maledettamente vero. Gli interpreti e protagonisti sono gente come noi. Gente qualunque, disarmata, innocente, indifesa. Poeti, artisti, letterati, mamme, nonne, figli, professori, medici, pazienti, bambini, operai, fornai, fruttivendoli, contadini, massaie, donne incinte, neonati, ladri, bastardi, insomma tutto l’arco della varia umanità che a qualunque latitudine abita il mondo.
Quello che va in onda da sette mesi e al quale stiamo assistendo è il massacro di un intero popolo 24 ore su 24. Un genocidio che è anche culturale, storico, paesaggistico, strutturale, e di fronte al quale sembra sempre più chiaro che l’obiettivo non è “cancellare Hamas”. Dietro questa insostenibile giustificazione si nasconde una cieca vendetta e rappresaglia che, ci ostiniamo ipocritamente a definire guerra. Un tentativo di risolvere una questione politica, etica e morale secolare con la forza delle armi, in modo unilaterale. Una rappresaglia dietro la quale si nascondono anche colossali interessi economici legati allo sfruttamento delle risorse, ai giacimenti di gas scoperti nella fascia marina di competenza della Striscia di Gaza. Chiunque si occupi di storia sa che dietro anche la più piccola delle guerre c’è sempre una motivazione economica.
Da mesi in Israele i familiari degli ostaggi nelle mani di Hamas protestano e chiedono le dimissioni di Netanyahu e del suo governo. Da mesi decine di migliaia di manifestanti antigovernativi marciano regolarmente a Tel Aviv e Gerusalemme chiedendo nuove elezioni e accusando Netanyahu di prolungare la guerra a Gaza per mantenersi al potere e salvaguardare i suoi interessi personali.
Questa mattina, alla cerimonia del Giorno della Memoria dell'Olocausto al World Holocaust Remembrance Centre di Gerusalemme, un uomo ha protestato urlando “Quanti segnali ci vogliono ancora perché un primo ministro torni a casa?”. I media israeliani Haaretz e Channel 12 hanno pubblicato un video su X in cui si vede l’uomo che chiede a Netanyahu di dimettersi mentre sta per deporre la corona di stato sul memoriale.
Netanyahu sperava che Hamas rifiutasse l’offerta di cessate il fuoco. Però Hamas l’ha accettata, spiazzandolo. In cambio dell’accettazione delle condizioni poste da Israele ha chiesto di inserire la dicitura “permanente”, accanto a “cessate il fuoco”. Messo alle strette, Netanyahu ha optato per il sabotaggio totale. Uno scudo perfetto per attuare la sua soluzione finale.
Una rappresaglia che oggi, con la complicità dell’Occidente, che con i suoi silenzi, la sua inazione, il continuo e garantito rifornimento di armi e flussi finanziari l’ha resa possibile, è in procinto di scrivere la più disumana e disonorevole pagina della storia dell’umanità: la distruzione di Rafah e l’eccidio dei suoi abitanti. Un bagno di sangue che travolgerà 600.000 mila bambini dai zero ai dieci anni, e altrettante donne, giovanissime, e qualche decina di migliaia di uomini e vecchi, tutti inermi, tutti innocenti.
Il governo di Netanyahu, composto da esponenti della destra più estrema, ebrei ultraortodossi e razzisti che rappresentano le peggiori istanze sioniste, comprese quelle dei coloni illegalmente insediati in Cisgiordania, è il più estremista che la storia di Israele abbia mai avuto dalla sua nascita. Solo qualche giorno fa sulla testata israeliana Hareetz c’era un articolo il cui titolo suonava più o meno così: “La speranza del partito di Unità Nazionale di influenzare Netanyahu e spingerlo a scegliere la via della sanità mentale è sempre più remota”. Nel mentre, dall’altra parte dell’oceano, la celebre scrittrice e attivista di origini ebraiche, Naomi Klein, dai campus universitari che resistono alle aggressioni e come le scope dell’apprendista stregone, ogni volta che vengono distrutti si moltiplicano e rinascono più forti di prima, lancia un appello esortando “gli ebrei ad alzare la voce a favore della Palestina e opporsi al falso idolo del sionismo”.