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Esteri
Lega anti Cina, così Salvini prova a superare "Giuseppi" e riconquistare Trump

"Sono un trumpiano convinto". Lo diceva Matteo Salvini lo scorso giugno, dopo il suo viaggio negli Stati Uniti durante il quale aveva incontrato il segretario di Stato Pompeo e il vicepresidente Pence. Tra sei mesi fa e oggi è successo di tutto. Il governo gialloverde è caduto, qualcuno sostiene proprio per la speranza (o l'illusione) di Salvini di poter arrivare a Palazzo Chigi dalla porta principale grazie al sostegno dello stesso Donald Trump. E' venuto alla luce il caso Savoini, con la conseguenza che i rapporti tra Lega e Washington si sono raffreddati, quantomeno a livello ufficiale, per la presunta vicinanza tra ambienti del Carroccio e il Cremlino che non possono piacere più di tanto all'opinione pubblica statunitense. Salvini non è più ministro, con la Lega passata all'opposizione. E Trump ha mostrato il suo gradimento per "Giuseppi", quel Conte incontrato all'Assemblea delle Nazioni Unite, tirando in alto il pollice sulla nascita del governo giallorosso.

IL DOSSIER HOROWITZ ALL'ORIZZONTE

Ora però Salvini e la Lega sono tornati all'attacco per provare a riconquistare il cuore di Trump. Il leader del Carroccio sente che è un momento favorevole per riallacciare fili mai completamente spezzati con Washington, tenuti in piedi in primis dall'allore sottosegretario Giancarlo Giorgetti anche durante la firma del memorandum sulla Belt and Road Initiative di Pechino lo scorso marzo. Il caso Russiagate e la controinchiesta trumpiana creano qualche preoccupazione al governo Conte bis, in particolare in relazione alle visite romane del procuratore generale William Barr. All'orizzonte ci sono la pubblicazione del dossier Horowitz, che potrebbe contenere elementi riguardanti l'Italia e i suoi servizi segreti, e le primarie dei Democratici, dove verrà utilizzato qualsiasi materiale disponibile, in particolare presunte ingerenze dell'amministrazione Trump in paesi terzi, per attaccare l'avversario repubblicano.

LA LINEA DURA DI SALVINI SULLA CINA

Ecco perché Salvini ha rotto gli indugi e ha deciso di assumere una linea fortemente anti cinese in materia di politica estera. Un cambio di passo evidente: vero che il Carroccio, almeno a parole, era la parte più scettica del governo gialloverde in merito all'ingresso nella Belt and Road, ma altrettanto vero che il ruolo dell'ex sottosegretario al Mise Michele Geraci è stato fondamentale, anzi decisivo, per l'adesione all'iniziativa di Pechino. E ancora in queste settimane uomini della Lega operano in maniera cooperativa a livello pratico con la Cina: il governatore del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga ha partecipato al terzo Belt and Road Summit a Trieste, mentre il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana è stato al Salone del Mobile di Shanghai.

Ma in queste ultime settimane e giorni la Lega ha alzato di molto il tiro sulla Cina mettendo nel mirino i rapporti tra M5s e Pechino. E allora Salvini se l'è presa con "i frequenti viaggi di Di Maio in Cina", riferendosi alla recente partecipazione al China International Import Expo di Shanghai, con il ministro degli Esteri che gli ha risposto di "pensare ai suoi viaggi in Russia". Un'ulteriore occasione è arrivata dal duplice incontro di Beppe Grillo con l'ambasciatore di Pechino in Italia, Li Junhua.

Nello stesso tempo la Lega ha assunto una linea molto netta su Hong Kong, dove da mesi sono in corso delle proteste che stanno mettendo in seria crisi la tenuta economica e sociale dell'ex colonia britannica, criticando la linea della non ingerenza del M5s, che ben si sposa allo storico approccio diplomatico della Repubblica Popolare Cinese e che i pentastellati stanno mantenendo anche su altri fronti della politica estera.

Non solo. Una delegazione di parlamentari guidata dal leghista Gianmarco Centinaio, e del quale fanno parte anche il senatore Iwobi e i deputati Bazzaro, Gerardi e Lucchini, si trovano in una missione di una settimana a Taiwan, durante la quale hanno incontrato esponenti politici locali ma anche i colleghi americani Bill Flores e Guy Reschentaler, coi quali hanno tenuto una conferenza stampa congiunta con Centinaio che si è ripromesso di "tenere costanti rapporti con i colleghi Usa che monitorano la situazione nell'area dello Stretto di Taiwan e dell'Indo-Pacifico in generale", sottolineando di aver "ascoltato con grande attenzione la loro analisi della situazione in Asia e i loro forti  moniti sulla necessità di evitare che il nostro traffico telefonico e traffico dati finisca nelle mani di potenze esterne".

Unendo tutti gli elementi, sembra che la Lega stia cercando di recuperare un forte ruolo filostatunitense che aveva rischiato di venire appannato dall'avvicinamento a Pechino del governo gialloverde prima, e dal caso Savoini poi. Obiettivo far dimenticare quel celeberrimo "Giuseppi" e allo stesso tempo imporsi come interlocutori privilegiati all'interno del centrodestra, dove sul fronte è molto attiva recentemente anche Giorgia Meloni, che dalla sua può far valere nei rapporti con Trump un sovranismo non filorusso (basti pensare ai rapporti con le forze politiche dell'Europa orientale, in primis quella del polacco Kaczynski, recentemente sempre più vicine alla Casa Bianca). Insomma, nella classica sfida tra maggioranza e opposizione in Italia sembra aggiungersi anche un'altra simbolica partita tra le due maggiori potenze globali.

twitter11@LorenzoLamperti

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