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Maltempo, "l'unica soluzione è l'adattamento". Paghiamo gli interventi umani
Maltempo Toscana

Maltempo, il climatologo Fazzini: "Il cambiamento climatico? E' diventato una scusa. L'unica soluzione è l'adattamento"

Non sta risparmiando niente e nessuno la forte ondata di maltempo che ha colpito il Centro-Nord Italia, ma in particolare la Toscana. La conta delle vittime è al momento ferma a cinque, con una delle due persone disperse che è stata ritrovata.

Ma i Vigili del Fuoco e la Protezione Civile sono impegnati senza sosta a far fronte alla quantità ingente di danni che i violenti temporali hanno provocato: ospedali allagati e interruzione di energia elettrica sono solo alcuni dei forti disagi che hanno messo in ginocchio la popolazione di Firenze, Prato e dintorni. Dopo l’alluvione che solo qualche mese fa ha devastato l’Emilia-Romagna, è inevitabile domandarsi se e che cosa fosse possibile fare per evitare il ripetersi di una tragedia.

Affaritaliani.it ha interpellato il climatologo Massimiliano Fazzini, responsabile del Team Rischio Climatico della Società Italiana di Geologia Ambientale, per cercare di tracciare origini e conseguenze di questa "tempesta".

LEGGI ANCHE: Maltempo in Toscana, cinque morti e fiumi esondati. In 40mila senza luce

Professore, tutti i danni a cui stiamo assistendo erano inevitabili? Oppure qualcosa si poteva fare?

Il problema è un po’ sempre lo stesso, ci troviamo di fronte a un’estremizzazione climatica comprovata, con fenomeni come precipitazioni breve e intense o precipitazioni abbondanti che stanno diventando sempre più frequenti. Quello che però è importante sottolineare è che in Italia non è stata fatta prevenzione, e il problema è iniziato già negli Anni ’60-’70-’80, quando si è costruito ovunque anche in aree di evidente pericolosità idrogeologica (perché vicine ai grandi fiumi o a torrenti con una certa pendenza). E' quindi una logica conseguenza che aree fortemente antropizzate dapprima solo pericolose siano diventate zone a forte rischio.

La Toscana è stata particolarmente colpita. Anche l'Arno è in piena: Firenze deve preoccuparsi?

La situazione è stata messa sicuramente in sicurezza anni fa con la costruzione della diga del Bilancino. Il problema è che a valle di questa diga ci sono tanti fiumi non modesti, torrenti e impetuosi che si riversano nell’Arno. Quindi è chiaro che il problema risolto nella parte montana del bacino, è ancora esistente nella media e bassa valle. Ecco perchè di fronte a 150 mm di pioggia in cinque-sei ore la città va in crisi, anche perché i suoi sobborghi hanno continuato a crescere come superficie cementificata.

Lei intravede delle responsabilità politiche?

Tutti quanti, ormai, si celano di fronte all'affermazione: "Il clima sta cambiando". Ma questa comincia ad essere veramente una scusa. Se andassimo a prendere dieci-quindici variabili che giustificano queste evidenze di esondazioni e allagamenti… sicuramente il cambiamento climatico rappresenta un importante fattore, ma altrettanto importanti sono l’uso del suolo scorretto, l’antropizzazione non corretto. La politica non è stata lungimirante nel momento in cui era necessario esserlo. E ora ne paghiamo le conseguenze.

Che contromisure propone la scienza?

La scienza deve essere prima di tutto super partes rispetto alla politica. Il problema è che, mentre in tutti gli Stati più importanti al mondo è il politico ad andare dallo scienziato chiedendo 'come si può risolvere un certo problema', in Italia non c’è mai stata questa forma mentis. Sulla carta, però, qualcosa nell'ultimo anno è stato fatto: è stato finalmente terminato il Piano Nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici. La parola chiave di tutto, l'unica soluzione oggi, è infatti l''adattamento', per ridurre il rischio idrogeologico, da un lato, e dall'altro lato per aumentare la stessa capacità adattiva del sistema. Di fronte all'uso scellerato del suolo, in sostanza, dobbiamo cercare di mettere in sicurezza quanto prima si è messo a rischio. Abbiamo fatto grandi disastri, quindi prurtroppo con lo stesso tipo di approccio, e compatibilmente con il rispetto di quella poca natura rimasta, bisogna cercare di porre rimedio. Come? Occorrono spesso delle infrastrutture, anche di notevole magnitudo, dighe, interventi strutturali che necessitano di grandi somme di denaro. Il fine ultimo è salvare vite umane e importanti realtà economiche, visto che ahimè la prevenzione non è stata fatta. Poi c’è naturalmente il cosiddetto adattamento “soft”, dell’educazione civica.

Mi parli un po' di questa fantomatica "tempesta Ciaran"

In realtà si tratta di una normalissima bassa pressione che si è formata in ambiente extra-tropicale, a ridosso delle isole britanniche, e che è un pochino più intensa del solito per motivi troppo complessi da spiegare. Non c’è nulla di particolare: viene definita tempesta perchè caratterizzata da alcuni segnali metereologici che la fanno apparire come tale, come vento molto forte. Ma quello che stiamo notando, per esempio, è che l’intensità delle precipitazioni, pur essendo significativa, rientra in un normale range statistico. Nulla di eccezionale insomma. Quando si fa un paragone con la tempesta Vaia, che provocò devastazione, si fa un errore di concetto. Sia la genesi, sia la magnitudo erano in quel caso nettamente superiore. È vero che si parla di “tropicalizzazione”, ma bisogna evitare discorsi allarmistici. Una corretta informazione dettata dalla scienza, in questo momento, può fare la differenza.

Ma proclamare lo stato di emergenza è necessario?

Certamente, anche perchè la zona di Firenze-Prato è uno dei comparti socio-economico-industriali più importanti di Italia, con un milione di abitanti. Ben vengano i messaggi di allerta da parte della Protezione civile, perché fanno parte di un discorso di “adattamento soft”, ma bisogna mettere il freno agli allarmismi inutili.

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