Esteri

Muro di Ferro, il piano per cancellare la Cisgiordania

Jenin devastata dalle armi israeliane, migliaia di famiglie in fuga, case distrutte e l’OCHA denuncia sistematiche violazioni

di Alessandra M. Filippi

Muro di Ferro, il piano per cancellare la Cisgiordania

Mentre la fragile tregua a Gaza regge e il secondo scambio di ostaggi israeliani e prigionieri palestinesi si avvicina – non senza discrepanze sulle liste concordate – la devastazione di Jenin in Cisgiordania continua senza tregua. L’esercito israeliano prosegue un assalto militare che ha trasformato un intero territorio in un teatro di guerra.

Durante una conferenza stampa, Farhan Haq, vice portavoce delle Nazioni Unite, ha messo in guardia contro il "deterioramento" della situazione nella Cisgiordania occupata, invitando Israele a rispettare il diritto internazionale e a proteggere i palestinesi. L’Ufficio per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) ha espresso preoccupazioni profonde per le “tattiche letali e belliche” impiegate dall’esercito israeliano, le quali violano chiaramente gli standard previsti per le operazioni delle forze dell'ordine.

E violano apertamente anche il diritto internazionale. Come previsto dalla Quarta Convenzione di Ginevra, Israele, in qualità di potenza occupante, ha il dovere di garantire la protezione e la salvaguardia della popolazione sotto occupazione. Dal 1967, anno in cui in seguito alla Guerra dei sei giorni ha occupato la Cisgiordania, sono state cinque le Risoluzioni vincolanti del Consiglio di Sicurezza dell'ONU che Israele ha ignorato. A partire dalla prima, la Risoluzione 242 (1967), che chiedeva il ritiro delle forze israeliane dai territori occupati (Cisgiordania, Gaza, Gerusalemme Est, Alture del Golan e Sinai) e il rispetto del diritto di tutti gli Stati nella regione a vivere in pace entro confini sicuri e riconosciuti. Ritiro che Israele non ha mai attuato.

Il 18 settembre 2024 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione storica che chiede a Israele di porre fine alla presenza illegale nel Territorio palestinese occupato entro 12 mesi, in conformità con il parere emesso dalla Corte internazionale di giustizia a luglio. Nel documento si chiede il ritiro delle forze israeliane dalla Cisgiordania, la cessazione di nuovi insediamenti, la restituzione delle terre e delle proprietà sequestrate e la possibilità di ritorno dei palestinesi sfollati, oltre che il risarcimento dei danni provocati. Israele non solo l’ha ignorata, come ha fatto con tutte le altre ma, forte dell'impunità di cui gode a livello internazionale, complice l'appoggio politico di Stati Uniti e Europa, ha rincarato la dose.

Secondo Marwan Bishara, editorialista di Al Jazeera, i raid ai quali stiamo assistendo sono il preludio a un "anno di annessione". L’obiettivo dell’operazione “Muro di ferro” sembra essere chiaro: creare paura e instabilità, umiliare e sradicare. Un piano che riecheggia il famigerato “Piano decisivo” di Bezalel Smotrich, Ministro delle Finanze e colono residente in un insediamento illegale, il quale già nel 2017 teorizzava la totale annessione della Cisgiordania, accompagnata dalla scelta imposta ai palestinesi: vivere come cittadini di seconda classe o emigrare. (https://www.affaritaliani.it/esteri/gaza-emigrazione-o-annientamento-ultimatum-dietro-il-conflitto-917461.html)

Le demolizioni, la confisca delle terre e l’espansione degli insediamenti illegali si inseriscono in questo progetto, creando un inferno sulla terra per chiunque osi rimanere. Le stesse immagini di devastazione e di famiglie costrette alla fuga che vediamo a Jenin richiamano tristemente quelle di Gaza. Due fronti apparentemente distinti, ma connessi da una stessa strategia: sradicare i palestinesi e spezzare la loro resistenza, usando paura e devastazione come armi per forzare la resa. D’altra parte, come ha dichiarato cinicamente in molte occasioni la leader del movimento dei coloni Daniella Weiss, “Quale persona sana di mente vorrebbe vivere in queste condizioni?”.

In un 2025 che alcuni funzionari israeliani considerano "l’anno dell’annessione", il ritorno di Trump alla presidenza degli Stati Uniti ha ulteriormente rafforzato questa linea. Con figure come Mike Huckabee, fra i leader del movimento evangelico Christians united for Israel, e Elise Stefanik in ruoli chiave – sostenitori radicali della supremazia israeliana sulla Cisgiordania – Washington ha già inviato segnali inequivocabili. Huckabee, in particolare, ha negato persino l’esistenza dei palestinesi, liquidando la Cisgiordania come “Giudea e Samaria”. Per lui non esistono nemmeno le colonie. “Sono comunità, quartieri, città, E non esiste l’occupazione”.

La resistenza palestinese è ostacolata dall'inerzia e dalla corruzione dell’Autorità Nazionale Palestinese, ormai ridotta a una caricatura del potere. Lontana dall’essere un baluardo di autodeterminazione, si è trasformata in uno strumento al servizio dell’occupazione israeliana, tradendo il suo popolo in cambio di una poltrona ormai logora. La Cisgiordania è in fiamme. E il mondo, come sempre, guarda altrove.

 

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