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Esteri
Petrolio: raffinerie e trasporto: i nodi che legano l'Ue alla Russia

L'Asia e' percepita come un'area in crescita, mentre l'Europa viene considerata come un mercato in declino, soprattutto dopo le scelte nette di transizione green. I trader mediorientali si interrogano, sui motivi per i quali dovrebbero vendere i loro prodotti in Europa quando tra 10 anni si ritroverebbero nuovamente a contrattare con i paesi asiatici. Quale sarebbe la convenienza nel rompere contratti a lungo termine rinunciando ai redditizi mercati asiatici per rifornire le raffinerie europee in declino? Ma lo stesso discorso si puo' fare per gli Stati Uniti.

Le raffinerie del Nord America hanno mercati redditizi nell'America centrale e meridionale. L'Asia dal canto suo, potrebbe ritrovarsi a dover trattare un petrolio, quello russo, soggetto a sanzioni extraterritoriali. I flussi di greggio e di prodotti derivati formano, a livello globale, una fitta rete interconnessa. Riprogrammare in maniera forzata le esportazioni russe tramite sanzioni implica modifiche a tutti gli altri rapporti tra fornitori e clienti. Una cosa non facile da portare avanti soprattutto dall'oggi al domani. Per motivi commerciali, la maggior parte degli esportatori fanno riferimento alle raffinerie geograficamente piu' vicine.

Finora, la Russia ha venduto il proprio petrolio all'Europa, l'importatore piu' vicino, anche se negli ultimi anni i flussi venivano lentamente riorientati verso l'Asia, il mercato in piu' rapida crescita, anche prima dell'invasione russa dell'Ucraina. Per le stesse ragioni geografiche, l'Europa ha acquistato la maggior parte del greggio e dei prodotti dalla Russia e da altri paesi dell'ex Unione Sovietica. Sempre secondo i dati di Bp, nel 2019, le esportazioni russe verso l'Europa hanno rappresentato oltre il 6% di tutto il greggio scambiato nel mondo e oltre l'8% di tutti i suoi prodotti scambiati a livello internazionale.

Riprogrammare una quota cosi' grande del commercio mondiale nell'arco di poche settimane o mesi creerebbe un enorme sconvolgimento. Inoltre, nel passato gli embarghi sul petrolio hanno sempre provocato un aumento dei prezzi. Le tensioni sui mercati ci sono da circa un anno, da quando l'economia e' uscita dalla pandemia da Covid ma con un'offerta inferiore alla domanda, scorte al di sotto della media degli ultimi cinque anni e poca capacita' inutilizzata. I precedenti embarghi imposti all'Iraq negli anni '90 e all'Iran e al Venezuela nell'ultimo decennio sono stati compensati da forniture extra di altri produttori, riducendo il loro impatto complessivo sui prezzi. Al momento, pero' ne' l'Arabia Saudita ne' le aziende di shale oil statunitensi sembrano intenzionate ad aumentare la produzione per compensare la perdita di forniture russe e la Casa Bianca non ha finora raggiunto accordi per revocare le sanzioni contro Iran e Venezuela.

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