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Esteri
Red Mirror , il nostro futuro si scrive in Cina. E va letto subito

All'inizio della pandemia da coronavirus, l'Italia ha guardato alla Cina "come a un film di fantascienza che non ci riguardava". Lo ha ammesso qualche settimana fa Sandra Zampa, sottosegretaria alla Salute, parlando con il New York Times. Approccio che si assume spesso, quando si parla di smart city, 5G, automazione, robot, riconoscimento facciale, sistema dei crediti sociali. Eppure, quel film di fantascienza sta assumendo sempre di più le fattezze di un documentario, in cui un futuro che sembrava lontano è diventato talmente prossimo da sconfinare nel presente. Favorito anche dal Covid-19, grande acceleratore di processi già in atto, quel futuro in Cina è già realtà.

Questa realtà è raccontata, con perfetto tempismo, da Red Mirror - Il nostro futuro si scrive in Cina di Simone Pieranni, in uscita il 14 maggio con Editori Laterza. Il libro illustra, in cinque capitoli, i pilastri su cui si basa la nuova società cinese, che sta già influenzando in maniera profonda l'Occidente. Il viaggio di Pieranni, che ha vissuto in Cina dal 2006 al 2014, parte dalla nuova Silicon Valley cinese, passa attraverso le città del futuro, l'automazione e le vite a punti, per finire con l'informatica quantistica. Lo fa raccontando non solo le sfaccettature del presente e le incognite del futuro, ma anche l'influenza del passato, in un percorso reso ancora più indispensabile dalla prima emergenza sanitaria globale nell'era dell'intelligenza artificiale cinese, affrontata nell'ultima parte del libro. 

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Simone Pieranni, che tipo di futuro si sta scrivendo per noi in Cina in questo momento?

Si sta continuando a scrivere lo stesso futuro che si stava scrivendo in precedenza, solo che con la pandemia lo si sta facendo più velocemente. Quando ho scritto questo libro pensavo di aver azzardato un po' sul sottotitolo e su alcuni contenuti, e invece l'emergenza del Covid-19 ha accelerato tutti quei processi che ho raccontato. Abbiamo già sfondato, o stiamo per sfondare, tutta una serie di barriere che sembravano invalicabili per non prefigurare derive securitarie e di controllo sociale. Basti pensare all'accettazione di un'app che traccia i nostri movimenti. E stanno crollando anche altre difese, come si può intravedere dalle tendenze autoritarie in atto in alcuni paesi dell'Europa orientale.

Nella risposta della Cina alla pandemia quale ruolo ha giocato la tecnologia? E in che modo si è bilanciata con la componente umana?

In Italia si pensa che un'app possa risolvere da sola tutta una serie di problemi. Invece la storia è molto più complicata. L'app da sola non serve a niente. In Corea del Sud gli strumenti tecnologici sono stati accompagnati da un importante corollario di operazioni fisiche. In Cina ancora di più. Già durante la dinastia Song venne istituito il sistema di sorveglianza reciproca del baojia, un'organizzazione gerarchica concepita attraverso la distribuzione dello spazio tra gruppi di famiglie. Le città cinesi sono state costruite secondo una logica securitaria che fa in modo che le persone possano controllarsi tra loro.  Si sa tutto di tutti. Quello che fino a qualche mese fa poteva apparire come un folkloristico retaggio del passato è tornato funzionale e attuale. Quindi al fianco degli strumenti tecnologici hanno operato strumenti umani, e culturali, altrettanto importanti.

In Italia e in Occidente si discute molto del tema legato alla privacy. In Cina esiste questo dibattito oppure no?

Per caratteristiche culturali legate al confucianesimo, la società cinese è abituata ad accettare tutta una serie di obblighi. Questo non significa che in Cina non esista un dibattito sulla privacy e che i cinesi accettino qualsiasi operazione securitaria senza battere ciglio, però acconsentono a limitazioni delle libertà personali in cambio di qualcosa che viene ritenuto utile alla popolazione. In realtà, negli scorsi mesi si era iniziato a discutere molto, tra i big del tech, di nuove regole etiche. Un dibattito che è stato cancellato, o quantomeno riportato indietro, dalla pandemia. La contingenza sta finendo per modificare idee che si ritenevano forti, come si può vedere anche in Occidente.

SIMONE PIERANNI dal 2006 al 2014 ha vissuto in Cina, dove torna appena possibile. A Pechino ha fondato l'agenzia di stampa China Files e attualmente lavora a Roma al quotidiano "il manifesto". Tra le sue pubblicazioni: il romanzo Settantadue (Alegre 2016) nella collana "Quinto tipo" diretta da Wu Ming  1; Il nuovo sogno cinese (manifestolibri 2013); Cina globale (manifestolibri 2017); il podcast sulla Cina contemporanea Risciò  (con Giada Messetti, Piano P 2017). Per Laterza è autore di Genova macaia (2017).

In che modo può cambiare la vita dei cittadini nelle nuove smart city post Covid-19?

Si sta andando verso una nuova forma di cittadinanza. Già parlare di patente di immunità cambia il concetto di cittadinanza, se per esso ci riferiamo all'accesso ai servizi, alla libertà di spostamento. In Cina si costruiranno smart city ecosostenibili, ma che non saranno per tutti: potranno essere abitate solo da due milioni e mezzo di persone. E chi ci potrà vivere? Chi potrà permettersi residenze costose e i cittadini che le autorità riterranno virtuosi. Qui si innesta il discorso dei crediti sociali. In Occidente questo aspetto ancora manca, ma con le imposizioni introdotte durante l'emergenza per controllare il rischio sanitario c'è il pericolo di entrare in una società ipercontrollata. Servirebbe, e serviva già prima, una riappropriazione dei dati da parte dei cittadini, ma l'emergenza spazza via tutti questi argomenti. Prima si stigmatizzava chi andava a correre, nelle prossime settimane si stigmatizzerà chi non scaricherà l'app.

Quale ruolo stanno giocando i colossi della tecnologia cinese in questa emergenza sanitaria?

Si tratta di un momento critico. I big hanno risposto alla chiamata alle armi di Xi Jinping ma il vero problema è che ora devono diversificare le offerte sul piano internazionale. Qui, sono già penalizzati dal fatto di essere, almeno in parte, emanazioni dell'autorità politica cinese. In secondo luogo, questi colossi sono diventati talmente grandi che potrebbero cominciare a dare fastidio anche sul piano interno. In questi giorni la Banca centrale cinese comincia la sperimentazione di una sua moneta digitale, entrando di fatto in concorrenza con WeChat e Alipay. Questo è un segnale che il governo non vuole lasciare un business che coinvolge centinaia di milioni di persone ad aziende private, le quali o trovano un accordo o rischiano di avere vita grama. Non credo sia un caso che Jack Ma si sia ritirato proprio adesso.

Quali sono i settori tecnologici sui quali la Cina insiste e insisterà di più?

Quando sono stato l'ultima volta a Innoway, la via di Pechino che è stata ribattezzata la Silicon Valley cinese, tutti menzionavano due cose: assistenti vocali e auto a guida autonoma. I primi sono ora utilizzati ampiamente dagli ospedali, ormai sempre più digitalizzati. Per quanto riguarda le seconde, non dobbiamo tanto pensare alle immagini futuristiche di macchine che girano per la città senza nessuno che le debba guidare, ma semmai guardare alla logistica di porti e trasporti su gomma, che prima del coronavirus erano la prima voce per numero di morti annuale in Cina. La Via della Seta, attraverso le infrastrutture e gli acquisti di prodotti cinesi negli snodi in cui arriverà, cambierà il modo di concepire la logistica.

Quali possono essere le conseguenze della pandemia sulla Via della Seta?

Prima di questa epidemia la Via della Seta era decisamente in difficoltà. Per quanto sia stata inserita nella costituzione, il Partito Comunista Cinese sembrava averla un po' messa in secondo piano. E in Asia si erano aperte molte discussioni. Ora però, con l'emergenza sanitaria e la conseguente crisi economica, i governi asiatici e africani faranno molta più fatica a rifiutare la costruzione di una diga, un porto o una ferrovia. Perché non avrebbero i soldi per farlo da soli.

E in Europa?

Lì la vicenda è più complicata. La Cina fa l'errore di agirvi come agisce in Asia, ma le logiche in Europa sono molto diverse. A Pechino non conviene spaccare l'Europa, bensì ottenere vantaggi in chiave contraria all'influenza statunitense. La partita in questo caso è più diplomatica che economica e la Cina, abituata a sinizzare tutto come un rullo compressore, ha ancora molta strada da fare in materia di soft power. Certi atteggiamenti molto duri possono funzionare in Africa, ma non in Europa dove c'è, legittima o meno, la presunzione di avere tutta una serie di tradizioni e valori. 

L'Italia che ruolo svolge all'interno del progetto cinese?

Per i cinesi l'Italia è una sorta di mondo ideale grazie alla sua lunga storia. La nostra adesione alla Belt and Road è stata come un diamante al dito. Per la Cina è stata una grande vittoria simbolica, perché ha potuto mettere in mostra l'accordo con un paese fondatore dell'Ue, la culla della società occidentale. L'Italia è sempre stata abituata a stare con due piedi in una scarpa, ma ora temo non ne abbiamo più la forza e la capacità. Si dovrebbe avere il coraggio di dire quello che si vuole fare.

Come racconti nel tuo libro, automazione e robotizzazione stanno prendendo sempre più piede in Cina, e non solo. Pechino dovrà introdurre nuove misure di welfare per far fronte a un prevedibile aumento dei disoccupati?

Di certo l'automazione toglierà il lavoro a diverse persone. Bisognerà rivedere il sistema di redistribuzione e quello dell'hukou, altrimenti si rischia di avere tanti lavoratori senza fabbrica in grado di diventare un detonatore sociale. Questo è un discorso che valeva già prima della pandemia e che ora diventa più importante che mai: o c'è un piano per convertire i lavoratori "espulsi" oppure la Cina si ritrova con milioni di persone senza lavoro. 

Il 22 maggio inizia l'Assemblea nazionale del popolo. Xi Jinping ci arriva più forte o più debole?

Simon Leys scrisse che studiare la politica cinese era “l’arte di interpretare iscrizioni che non esistono scritte con inchiostro invisibile su una pagina bianca”. Difficile sapere che cosa succede all'interno del partito, ma Xi sembra avere la situazione completamente in mano.

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