Esteri
Roma può salvare Caracas e gettare le basi del proprio rilancio economico
Roma può salvare Caracas e gettare le basi del proprio rilancio economico
Mettendo in luce le debolezze strutturali dell'economia italiana, l'emergenza del Covid-19 sta producendo la più grave crisi degli ultimi 75 anni, in Italia così come nel resto dello spazio continentale e mediterraneo.
Nelle altre aree del mondo, come l'Africa e l'America Latina, la pandemia rischia di portare al collasso la tenuta – non di rado già resa precaria dalla guerra economica – del sistema sociale di alcuni paesi. Il Venezuela, come sottolineato recentemente dall'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani Michelle Bachelet, è uno dei paesi più interessati da questo rischio.
Come già riportato da Affari Italiani, secondo i ricercatori statunitensi Mark Weisbrot e Jeffrey Sachs, nel periodo 2017-2018 le sanzioni imposte al Venezuela avrebbero ucciso circa quarantamila persone. A questo dato, già molto grave, si sommano le serie difficoltà che Caracas si trova ad affrontare in relazione al sanzionamento di Stati Uniti ed Unione Europea, quali interruzioni dei flussi di acqua potabile, dell'energia elettrica, della distribuzione di prodotti alimentari e farmaci.
La necessità di eliminare le sanzioni rivolte contro Caracas è stata evidenziata anche dal Financial Times, se non altro per rendere concretamente possibili i necessari interventi di carattere sanitario.
Nonostante la pandemia ed una situazione già emergenziale, alcuni giorni fa gli Stati Uniti hanno inviato alcune unità della Marina Militare a ridosso delle coste del Venezuela con l'intento di combattere il “narcoterrorismo” di cui viene accusato tra gli altri il presidente Nicolas Maduro. A quest'accusa, già in sé surreale, si è aggiunta l'imposizione di una taglia da 15 milioni di dollari promessi dalla Casa Bianca per la sua cattura. Alle manovre statunitensi stanno partecipando anche alcune unità navali di Francia e Gran Bretagna.
Le accuse liquidate come “miserabili” da Caracas, non reggerebbero il confronto con i dati messi a disposizione dalle stesse agenzie statunitensi del WOLA (Washington Office for Latin America) e della DEA (Drug Enforcement Administration), così come con i dati dell'UNODC (United Nations Office on Drugs and Crime ) delle Nazioni Unite.
Pino Arlacchi, ex direttore escutivo dell'UNODC, non ha usato mezzi termini per commentare le accuse mosse dalla Casa Bianca: “Non esiste [...] alcuna corrente di commercio illegale di narcotici tra Venezuela e Stati Uniti. [...[ Il rapporto Onu che fornisce il quadro più dettagliato menziona il Messico, il Guatemala e l’Ecuador come le sedi di transito della droga verso gli Stati uniti. E l’assessment della Dea cita i celebri narcos messicani come i maggiori fornitori del mercato statunitense”.
L'unilateralismo delle sanzioni sostenute dalla presidenza dagli Stati Uniti impedisce, di fatto, qualunque rapporto rapporto economico significativo tra il Venezuela ed il suo principale partner economico naturale, ossia gli Stati Uniti. Oltre a rivolgersi contro il Venezuela, in America Latina l'impianto sanzionatorio degli Stati Uniti colpisce da tempo paesi politicamente vicini a Caracas, come Cuba ed il Nicaragua. Alle sanzioni sostenute da Washington si aggiungono quelle sostenute dall'Unione Europea già dal 2017, sanzioni che prevedono il congelamento dei beni di vari funzionari così come il divieto di accordi relativi all'industria della difesa.
Tale è la gravità della situazione innescata dall'impianto sanzionatorio - e peggiorata dall'andamento del prezzo del petrolio - che la compagnia petrolifera PDVSA si trova da tempo nelle condizione di non poter lavorare. Da detentore delle maggiori riverse petrolifere al mondo il Venezuela si trova assurdamente costretto ad importare dall'estero idrocarburi raffinati.
Anche la società russa Rosneft è stata recentemente sanzionata dagli Stati Uniti in relazione alle sue attività in Venezuela: un sanzionamento a cui il Cremlino ha replicato effettuando la cessione delle attività di cui Rosneft era titolare in Venezuela ad un'altra società sotto controllo pubblico, smarcando così Rosneft dalla morsa sanzionatoria.
Con l'argomento delle ambiguità riguardanti il riconoscimento politico della presidenza venezuelana – l'affaire Guaidò - il governo di Caracas si è visto rifiutata la richiesta di sostegno economico – per cinque miliardi di dollari - presentata al Fondo Monetario Internazionale per far fronte alla pandemia del Covid-19 ed alle sue conseguenze.
Pochi giorni fa gli Stati Uniti hanno offerto al Venezuela la sospensione delle sanzioni in cambio della formazione di un governo ad interim che escluda sia Nicolas Maduro sia Juan Guaidó: una proposta, quella accennata dal Segretario di Stato statunitense Mike Pompeo, che vuol far leva sulle difficoltà prodotte dal blocco economico e dalla condotta non sempre esemplare delle opposizioni locali, non di rado protagoniste di violenze e blocchi della distribuzione alimentare.
Respingendo le parole di Mike Pompeo, il presidente Nicolas Maduro ha scritto una lettera aperta auspicando che“l’unilateralismo senza misura” possa essere superato in favore del dialogo e della cooperazione. Riguardo l'autoproclamazione Juan Guaidò, l'Italia è stato uno dei pochi paesi europei a non appiattirsi su posizioni assai distanti dai propri interessi nazionali, sostenendo invece, seppur con grande moderazione, un punto di vista pragmatico e ragionevole. A conferma della grande rilevanza diplomatica che l'Italia è in grado di assumere c'è il fatto che la fermezza l'affaire Guaidò ne abbia di fatto impedito il riconoscimento unanime da parte dell'Unione Europea.
Del resto, l'inadeguatezza di certe compagini venezuelane attestate su posizioni ferocemente antigovernative è ben nota anche a Washington.
Una posizione molto ragionevole è stata fatta propria e pubblicata in una nota dal governo argentino di Alberto Fernandez: "Nel mezzo della crisi scoppiata per la pandemia del coronavirus dobbiamo agire con rispetto e solidarietà nei confronti del Venezuela e di tutti i paesi colpiti attraverso un dialogo che includa tutti. […] Questa è l'unica maniera di mettere fine all'esclusione sociale, la depredazione ambientale e la avidità della speculazione. [La problematica] deve essere risolta dagli stessi venezuelani senza pressioni né condizionamenti esterni".
Dal canto suo, la Santa Sede ha sottolineato in più occasioni che l'umanità non può in alcun modo permettersi nuove forme di colonialismo, né per il Venezuela, né per il resto della regione amazzonica. Anche Papa Francesco, con lo sguardo rivolto a Caracas, ha denunciato le minacce alla dignità umana, ed esortando i popoli dell'America Latina a riscoprire il proprio senso comunitario ha ribadito la necessità del dialogo sociale.
In occasione della benedizione pasquale urbi et orbi della scorsa domenica il Pontefice, rinnovando l'invito al dialogo, ha invitato ad allentare le sanzioni internazionali rivolte contro il Venezuela così come gli altri paesi che le subiscono. “In considerazione delle circostanze, si allentino pure le sanzioni internazionali che inibiscono la possibilità dei Paesi che ne sono destinatari di fornire adeguato sostegno ai propri cittadini e si mettano in condizione tutti gli Stati, specialmente quelli più poveri, di fare fronte alle maggiori necessità del momento, riducendo, se non addirittura condonando, il debito che grava sui loro bilanci.“
Nel quadro dell'emergenza con cui il mondo sta facendo i conti risulta fondamentale profondere ogni sforzo possibile utile alla stabilità del Venezuela ed alla necessità di garantirne i bisogni primari. Si rende dunque auspicabile un rilancio delle relazioni bilaterali che possa riscoprire lo spirito degli accordi di cooperazione economica firmati a Caracas nel 2001 tra Italia e Venezuela – e rinnovati in occasione delle visite in Italia di Hugo Chavez - così come dell'accordo di cooperazione medica tra Roma e Caracas siglato nel 2010.
Nell'ottica del necessario rilancio dell'industria italiana, ed in particolare dei suoi settori strategici, occorre sfruttare a pieno le potenzialità complementari delle economie di Roma e Caracas, incrementando da una parte le importazioni delle materie prime di cui il Venezuela è ricchissimo (specie idrocarburi e metalli comuni e preziosi) e dall'altra le esportazioni meccaniche, prodotti chimici, farmaceutica e abbigliamento. Una prospettiva d'intesa auspicabile e vantaggiosa, tanto per Roma quanto per Caracas, come del resto per gli equilibri internazionali.