Esteri

Sanzioni alla Russia, l'Ue dà il via libera. Dietro l'ok di Orban la rielezione di Trump

L'Ue dà il via libera alle sanzioni alla Russia: è stata determinante la posizione dell’Ungheria che ha votato a favore invece che usare il diritto di veto

di Francesco Crippa

Sanzioni alla Russia, ok dall'Ue. Che cosa c'è dietro il veto (poi caduto) dell'Ungheria 

L’Unione europea ha approvato il rinnovo delle sanzioni alla Russia. La decisione, tutt’altro che scontata, è arrivata nella seduta odierna del Consiglio Affari esteri. “Mi aspetto oggi il via libera”, aveva detto prima dell’apertura dei lavori l’Alta rappresentante Kaja Kallas. E così è stato: determinante la posizione dell’Ungheria che ha votato a favore invece che usare, come ventilato nei giorni scorsi, il diritto di veto.

Era il giorno della verità per le sanzioni contro il Cremlino, che, se non rinnovate, sarebbero scadute il 31 gennaio a mezzanotte. Le misure adottate dallo scoppio della guerra in Ucraina a oggi comprendono il congelamento di 200 miliardi di euro della Banca centrale russa in Europa e le sanzioni settoriali (embargo, divieto di investimenti, limitazioni sull’export e così via). A minacciare l’esito positivo era stato il premier ungherese Viktor Orban.

All’ultimo Consiglio europeo aveva detto di voler aspettare il reinsediamento di Donald Trump alla Casa Bianca per vedere che posizione avrebbe assunto verso Putin. Il 17 gennaio ha alzato la posta: “è giunto il momento di buttare le sanzioni dalla finestra e di creare una relazione senza sanzioni con i russi”, ha detto, pur concedendo che si tratta di un obiettivo ancora lontano. Il 24 gennaio, infine, Orban ha posto una condizione: via libera alle sanzioni ma solo se verrà riattivato il flusso di gas russo attraverso l’Ucraina verso Ungheria e Slovacchia.

Una richiesta di “scambio” che non è caduta nel vuoto: “L’'Ungheria ha ricevuto le garanzie richieste riguardo alla sicurezza energetica del nostro paese”, ha scritto sui social il ministro degli Esteri di Budapest Peter Szijjartò. La Commissione europea si è impegnata a proteggere i gasdotti e gli oleodotti che portano agli Stati membri dell'Ue. Ha chiarito che l'integrità delle infrastrutture energetiche che riforniscono gli Stati membri è un importante problema di sicurezza per l'Ue nel suo complesso. Inoltre, sta cercando garanzie dall'Ucraina per garantire la fornitura di petrolio all'Unione'”.

In tutto questo, potrebbe aver giocato un ruolo indiretto ma fondamentale anche la rielezione di Trump. Come detto, Orban voleva aspettare il suo insediamento per decidere il da farsi e anche il 23 gennaio, Gergely Gulyas, un europarlamentare di Fidesz (il suo partito), aveva detto che si è ora in “una nuova situazione” che impone “un dibattito” sulle sanzioni. La speranza dell’Ue (e dell’Ucraina) era che l’Ungheria facesse un passo indietro, seguendo la linea di Trump. Il presidente degli Stati Uniti, infatti, ha minacciato nuove sanzioni contro Mosca se Putin non si siederà al tavolo delle trattative: un’uscita che potrebbe aver preso Orban in contropiede, privandolo dell’appoggio di un prezioso alleato in questa partita. Non a caso, la stessa Kallas ha sottolineato prima della seduta che “è positivo che il presidente Trump abbia deciso di mantenere la pressione”.

In ogni caso, la vicenda ha aumentato le accuse di filo-putinismo verso Orban. “Se blocca davvero le sanzioni europee in un momento chiave della guerra, sarà assolutamente chiaro che in questo grande gioco per la sicurezza e il futuro dell'Europa, sta giocando nella squadra di Putin. Con tutte le conseguenze di questo fatto”, aveva scritto sui social il premier polacco e presidente del Consiglio dell’Ue, Donald Tusk, ai cui occhi la mossa di Orban di non mettere il veto in cambio di garanzie energetiche deve apparire come un ricatto.

Al centro del Consiglio Affari esteri di oggi non solo la questione ucraina, ma anche il Medio Oriente. Sul tavolo due proposte: sospendere le sanzioni contro la Siria e far ripartire il più velocemente possibile la missione Eubam al valico di Rafah, al confine tra la Striscia di Gaza e l’Egitto. “Mi aspetto che oggi sia presa la decisione di allentare le sanzioni alla Siria, con un approccio passo dopo passo”, ha dichiarato Kallas. “Il futuro della Siria è fragile ma dobbiamo creare spazio perché i passi giusti siano compiuti e se le nuove autorità andranno in quella direzione noi siamo pronti a fare la nostra parte”. L’idea è quello di un approccio graduale: le sanzioni su energia e trasporti verranno sospese, non eliminate, il che significa che se il nuovo governo siriano non darà sufficienti garanzie potranno essere riattivate.

Per quanto riguarda la missione Eubam, l’obiettivo è quello di vederla attiva già il primo febbraio. Avviata nel 2005 a seguito del disimpegno di Israele da Gaza, la missione è attualmente sospesa. Il suo scopo è fornire all’amministrazione palestinese assistenza tecnica e consulenza per la gestione della frontiera e – ma questo punto non è in vigore da quando Hamas ha preso il potere nel 2007 – assicurare la presenza di una parte terza tra Israele e l’Autorità nazionale palestinese. Secondo alcuni funzionari di Bruxelles, la missione potrebbe ripartire con un contingente di 20 o 30 gendarmi europei, ma il numero è ancora da determinare.
 

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