Esteri
La nuova Siria degli "ingegneri di Allah" è il settimo fronte di guerra israeliano in un anno
I nuovi padroni della Siria non vogliono solo una guida islamista, ma anche un apparato governativo efficiente. Erdogan si frega le mani. Israele, al solito, bombarda
La nuova Siria degli "ingegneri di Allah" è il settimo fronte di guerra israeliano in un anno
Un governo tecno-islamista si insedia a Damasco per guidare la transizione della Siria post-Assad mentre sul Paese si sono estesi negli ultimi giorni i raid aerei di Israele, tesi a “demilitarizzare” lo Stato arabo nei giorni in cui emerge sempre più preminente il ruolo di Hay’at Tahrir al-Sham in seno all’opposizione divenuta nuova padrona. Non a caso il governo che si insedia a Damasco è la fotocopia di quello che Hts ha istituito a Idlib dal 2017 e che oggi è guidato da Mohammad al-Bashir, ingegnere elettronico divenuto sostenitore amministrativo dei jihadisti dal 2021, quando ha conseguito una laurea in Sharia e Legge.
Il 41enne al-Bashir è il referente politico del “signore della guerra” Abu Mohammad al-Jolani che non vuole solo uno Stato a guida islamista ma anche un apparato governativo efficiente. Nei limiti del possibile, in un anno al-Bashir a Idlib ha ottenuto risultati apprezzabili: lotta alle rendite immobiliari, una carestia sventata in estate, si dice perfino un tentativo di distribuzione di forme di governance tramite app mobile dei servizi essenziali. E tutti i ministri dell’esecutivo sono figure vicini a Hts e membri di quel Governo di Salvezza Siriano pronto all’uso per Damasco che però non hanno mai preso parte alla guerra, al contrario di quanto successo in Afghanistan, dove nel 2021 i Talebani dopo il ritorno al potere hanno reinsediato al vertice dello Stato i loro signori della guerra.
Tecnici dell’amministrazione fedeli all’islamismo: questo l’ibrido politico che i ribelli sperimenteranno per annacquare l’immagine negativa di Hts e quella che emerge dalla Siria post-Assad dalle immagini brutali di esecuzioni sommarie di lealisti del vecchio regime. Potremmo definirlo anche il governo degli ingegneri di Aleppo: lo è al-Bashir, formatosi alla facoltà della seconda città Siriana. E lo è anche Basel Abdul Aziz, che nell'ateneo dell’antica città siriana è stata anche ricercatore di ingegneria industriale e meccanica, e che a 40 anni è il nuovo ministro dell'Economia di Damasco. Abdul Aziz ha promesso di liberalizzare l'economia ed aprire agli investimenti stranieri la ricostruzione del Paese.
Siria, le mire di Erdogan sulla ricostruzione
Chi guarda con attenzione al bottino economico della ricostruzione è la Turchia di Recep Tayyip Erdogan, che pregusta l’idea di egemonizzare la Siria mettendo all’angolo gli odiati rivali curdi. Già, perché quando parliamo di “Siria” in mano all’occupazione parliamo di oltre il 70% del Paese, ma non del Rojava guidato dalle Forze Democratiche Siriane (Sdf) a egemonia curda, per ora ancora non riappacificate con la nuova leadership di Damasco.
E Israele apre il settimo fronte di guerra in un anno...
L’idea di una Turchia egemone su una Siria a trazione jihadista o islamista radicale dopo la caduta di Assad, per quanto annacquata dal manto della tecnocrazia degli al-Bashir e degli Abdul Aziz, è il motivo che ha spinto Israele a colpire oltre 480 obiettivi in una forma di guerra preventiva che ha portato alla distruzione di basi militari, aeroporti, depositi di munizioni convenzionali e chimiche, porti, navi. Benjamin Netanyahu ha ordinato di “demilitarizzare la Siria”, forse ricordando lo sventolio di bandiere palestinesi a fine novembre, nei giorni della caduta di Aleppo in mano a Hts e al Syrian National Army filoturco. Erdogan ha più volte attaccato Netanyahu per la guerra di Gaza, e l’ipotesi di avere un alleato di Ankara ben armato ai suoi confini ha spinto Tel Aviv all’apertura preventiva del settimo fronte di guerra post-7 ottobre 2023, dopo quelli a Gaza e in Libano portati avanti via terra e raid aerei, quello aperto con le operazioni a sostegno dei coloni in Cisgiordania e i bombardamenti di Iraq, Yemen e Iran.
Non c’è pace per la Siria e non c’è pace per il Medio Oriente: il compito dei tecno-islamisti di ricostruire il Paese si scontra sia con la scarsa fiducia che i loro patroni garantiscono che con paure e paranoie della classe dirigente regionale.