Esteri

Usa 2025, il ritorno di Donald Trump: possibili conseguenze per gli Stati Uniti e il mondo

La presidenza Trump vedrà il secondo momento dopo quello del 2017-2021, già segnato da un approccio apertamente transazionale alle relazioni internazionali e da un profondo scardinamento delle consuetudini politiche interne

di Andrea Muratore

Usa 2025, prospettive 

Il 20 gennaio 2025 una grande svolta potrebbe emergere per la geopolitica americana e globale: con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca a seguito della vittoria elettorale di The Donald il 5 novembre scorso non si consumerà solo il più clamoroso ritorno in pista della storia politica americana ma anche un grande cambio paradigma. La presidenza Trump vedrà il secondo momento dopo quello del 2017-2021, già segnato da un approccio apertamente transazionale alle relazioni internazionali e da un profondo scardinamento delle consuetudini politiche interne. Insomma, tutto ciò che riguarda l’entrante Trump 2.0 lascia presagire implicazioni tanto imprevedibili quanto decisive su entrambi i fronti.

Sul fronte interno, la seconda presidenza Trump potrebbe accentuare le fratture già esistenti nel tessuto sociale e politico degli Stati Uniti. Il magnate ha fatto della retorica populista e della polarizzazione politica il cardine della sua strategia, alimentando divisioni che difficilmente si appianeranno con il suo ritorno, nonostante una sua pervasività politica che l’ha portato a acquisire consensi tra minoranze e altre nicchie elettorali storicamente a lui poco affini.

Politica interna

Riforma istituzionale e governi statali saranno al centro della scena, anche per l’entrata in campo di Elon Musk, Vivek Ramasway e il loro Dipartimento per l’Efficienza Governativa (Doge). In campagna elettorale Trump ha più volte espresso il desiderio di ridimensionare l'influenza delle agenzie federali e dei cosiddetti “deep state”, creando un’élite alternativa a quella della “palude” di Washington. L’occasione è propizia: il Partito Repubblicano, dominato dalla corrente del Make America Great Again (Maga) a lui fedelissima controlla presidenza, Camera dei Rappresentanti, Senato, sei seggi su nove della Corte Suprema.

Più prevedibile l’agenda su economia e tasse: sul piano economico, Trump è probabile che rilanci un mix di tagli fiscali e deregolamentazioni mirate a favorire le grandi imprese e il mercato energetico tradizionale. Tuttavia, con un deficit già elevato e una Federal Reserve impegnata a contenere l’inflazione, tali politiche potrebbero portare a scontri tra le istituzioni finanziarie e l’amministrazione. Trump ha provato a forzare il Congresso uscente ad innalzare il debito federale fino a una soglia tale da consentirgli di approvare un nuovo taglio di tasse senza patemi nel recente dibattito sullo shutdown. Ma non è riuscito nel suo intento.

Politica Estera: isolazionismo e realpolitik

Se sul piano interno Trump è un divisore, in politica estera appare come un rivoluzionario pragmatico. Durante il suo primo mandato, ha smantellato gran parte delle iniziative multilaterali promosse dai suoi predecessori e promosso una visione transazionale basata sugli interessi americani diretti. La sua filosofia di “America First” è destinata a ritornare al centro della scena.

Occhio, innanzitutto, alle relazioni con la Cina e la Russia. Una delle questioni chiave sarà il rapporto con le potenze rivali. Sebbene Trump abbia inasprito le tensioni commerciali con Pechino, la sua posizione su Mosca si è spesso distinta per un approccio meno conflittuale rispetto al mainstream americano. Il suo ritorno potrebbe portare a una ricalibratura dei rapporti con Putin, sollevando dubbi sulla tenuta dell'alleanza occidentale contro la Russia in Ucraina.

La NATO rappresenta un altro tema critico. Trump ha più volte criticato i suoi partner europei per non contribuire abbastanza alla difesa collettiva e di recente ha alzato l’asticella: 5% di spesa militare sul Pil, un onere che l’Europa ad ora non sa sostenere, pena il depotenziamento dell’appoggio americano. Il rischio di una diminuzione del coinvolgimento americano nell’alleanza atlantica è concreto, mettendo a dura prova la coesione strategica dell’Occidente.

Sul fronte del Medio Oriente, è probabile che Trump tenti di rafforzare ulteriormente i rapporti con Israele e i Paesi del Golfo, magari a scapito della posizione palestinese e iraniana. L’idea è di rilanciare i famosi Accordi di Abramo, che però hanno bisogno di un nemico unificatore. Israele lavora alacremente per convincere tutti che quel nemico sia l’Iran. Ma a Riad fanno per ora orecchie da mercante. E forse Trump potrebbe aver bisogno della pace a Gaza per far mettere allo stesso tavolo Stato Ebraico e arabi.

Questa una linea di massima, ma non dimentichiamo che l’essenza di The Donald è spesso lo spettacolo. La sua capacità di dominare il dibattito pubblico, influenzare le dinamiche economiche e destabilizzare assetti consolidati rende indispensabile monitorare con attenzione le sue future mosse politiche. Con la consapevolezza che tutto è probabile e nulla è certo col 45esimo presidente degli Usa pronto a diventare il 47esima dal prossimo 20 gennaio.

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