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Così il Pnrr trascura la Blue Economy

Il bilancio degli Stati Generali del Mondo del Lavoro del Mare

Si sono chiusi gli Stati Generali del Mondo del Lavoro del Mare, una tre giorni svoltasi a Genova, dai quali arriva un messaggio forte e chiaro: la ricaduta a terra della blue economy non viene compresa. È la reazione unanime al PNRR che mostrerebbe scarsa attenzione al lavoro e all’economia marittima, che pure ha già rialzato la testa. Pochi i soldi, ancora meno i ristori. Da Salvatore Lauro il richiamo a unire le forze delle “Repubbliche Marinare”.

Ma dai commenti unanimi sul PNRR traspare amarezza: sono pochi i soldi previsti per il mare, 500 milioni a fronte di una spesa totale di 200 miliardi di euro. A conferma – sostengono i presenti – della scarsa sensibilità delle istituzioni terrestri alla blue economy. Solo a livello europeo, il settore mare genera infatti oltre 650 miliardi di euro di fatturato e sostiene 4,5 milioni di posti di lavoro diretti. Oltre a notare la scarsità delle risorse messe a disposizione dal PNRR, in molti temono investimenti a pioggia per far contenti tutti, senza tenere conto delle diversità implicite del mondo portuale italiano. Tema che solleva una grande preoccupazione è l’assenza di una visione sia delle realtà portuali italiane sia, in generale, di come accompagnare la forza lavoro attraverso le transizioni ecologica e tecnologica.

Attenzione, dice Alessandro Paone, avvocato Giuslavorista Partner at LabLaw Studio Legale, ad aspettarsi la stessa ricostruzione che ha visto il nostro Paese dopo la Seconda Guerra Mondiale: allora la ricostruzione passava attraverso la mano d’opera, cioè il lavoro, questa ricostruzione si basa sulle nuove tecnologie che diminuiscono il lavoro. Economicamente il risultato è diverso.

«Il problema, quindi, non è lo sblocco dei licenziamenti, ma la creazione degli strumenti per superare l'inoccupazione. Gli ammortizzatori sociali devono diventare abilitatori al cambiamento». 

«D’altronde, l’Italia è un Paese contadino, non marinaro, nonostante i nostri 8mila chilometri di coste»: così l’armatore Salvatore Lauro sottolinea l’apparente disinteresse delle istituzioni all’economia del mare. L’Italia è Paese per il quale il mare finisce con la spiaggia, un paese di bagnanti, tuttalpiù. Nel 2020 il fatturato degli armatori è sceso al 25% rispetto al 2019. Non c’è stato un solo ristoro e il progetto di sgravio fiscale è ancora fermo in Europa perché rischia di essere considerato aiuto di Stato. Inoltre la burocrazia ci strozza tanto gli ufficiali inglesi sulle imbarcazioni da diporto sono preferiti ai nostri perché la loro assunzione è più facile e snella. Basterebbe un alleggerimento della burocrazia per cominciare a dare una mano al mare. L’armatore conclude chiamando le “Repubbliche Marinare” a unire le forze alla ricerca di sinergia e condivisione di best practices, così che si possa fare massa critica anche nei confronti delle istituzioni di terra che sembrano non considerare quanto dovrebbero il contributo del mare all’economia nazionale e allo sviluppo futuro. Sostenibilità: il mare inizia quiLa salvaguardia delle risorse naturali del mare, la minimizzazione dell’impatto dell’economia marittima e la rigenerazione degli eco-sistemi sono i tre temi di urgenza che si sono ritrovati con un’unanimità imbarazzante nelle parole di tutti gli intervenuti. Imbarazzante perché ne siamo responsabili tutti: chi produce sul mare, chi trasporta sul mare, chi ospita sul mare, chi consuma il prodotto del mare o semplicemente frequenta le località marinare. Da qui l’idea di Alberto Cappato, direttore Innovazione Sviluppo e Sostenibilità Porto Antico di Genova, di condensare il concetto in una frase da apporre sui tombini della città: il mare inizia QUI, come hanno già fatto alcune città di mare del Nord Europa. Il progetto dei tombini che sussurrano ai cittadini di mare cerca anche uno sponsor, tra tante generose persone di mare.

È ora di pensare a una regia condivisa tra tutti i protagonisti dell’economia marittima - dice ancora Alberto Cappato - una gestione integrata di tutti gli interventi dell’uomo che vive e lavora sul mare. Perché, se rispetto al passato ci sono molti più sistemi di controllo e le aree marine protette sono passate da 5 a 30 da quando Legambiente è nata nel 1986 - spiega Sebastiani Venneri, vice presidente Legambiente - sono cambiati i fattori di aggressione.Trenta anni fa il nemico era il petrolio, oggi sono le plastiche, specie le microplastiche che entrano nella catena alimentare facendo da tramite per altre sostanze inquinanti, e il cambiamento climatico che sta innalzando il livello del mare e determinando eventi meteoclimatici estremi a danno delle zone costiere. Le spiagge stanno finendo, e non solo in Italia. «Sono ministro dell’unico Governo che non vede l’ora che sparisca il proprio Stato»: è il commento di Antonio Di Natale, segretario Generale Fondazione Acquario di Genova, biologo esperto, già consulente dell’ONU, nominato ministro di quell’enorme Statodi agglomerati di plastica presenti negli Oceani del Mondo, che ormai – se aggregati –superano le dimensioni della Russia, 17 milioni di km2.

Il percorso di maggiore sensibilizzazione dei Comuni italiani alla tutela del mare sembra però trovare sempre più compagni di viaggio con 6 nuove bandiere blu attribuite quest’anno rispetto al 2020 a località marine e lacustri e ben 15 new entries che, a cambiare la storia di questa certificazione, quest’anno arrivano soprattutto dal Mezzogiorno.

Claudio Mazza, presidente Fondazione Fee-Italia, concentra l’attenzione sul percorso che conduce alla certificazione: «La bandiera blu è l’obiettivo, ma quello che conta è il percorso fatto dimaggiore sensibilizzazione e comportamenti di tutela di una risorsa che è di tutti». Transizione digitale e occupazioneRitorna il tema delicatissimo delle ricadute sull’occupazione della transizione digitale, con la necessità sempre più spiccata, da una parte, di nuove competenze e, dall’altra, di riqualificazione dei lavoratori che escono dal mercato del lavoro. Fondamentale il confronto tra Università, Istituti Tecnico Superiori ITS e imprese dell’economia blu, per allineare l’offerta di competenze alla domanda del mercato, soprattutto in ottica digitalizzazione, automazione e informatizzazione dei processi. Alla proposta di un protocollo di incontri periodici con gli ITS in cui concertare le competenze richieste da qui ai prossimi anni, si dicono tutti d’accordo. Ma gli ITS italiani non sono sufficienti. 108 in tutt’Itali per 116mila allievi. Ma in Francia gli allievi sono 600mila, quasi 900mila in Germania e 1 milione in Canada. Ecco che i fondi di sostegno alla formazione professionale, soprattutto in ottica di Industria 4.0 - digitalizzazione, automazione e informatizzazione dei processi - saranno fondamentali per recuperare terreno in Europa sulla formazione professionale. L’innovazione tecnologica è ineludibile per lo sviluppo della nostra economia e per mantenersi competitivi, ma se la transizione non viene pensata anche dal punto di vista formativo e occupazionale, il rischio perdita posti di lavoro si fa inquietante: secondo McKinsey il 47% dell’occupazione USA è a rischio, mentre il 44% degli europei in età lavorativa non ha le competenze di base per mantenersi attrattivo sul mercato del lavoro come si sta delineando. A ciò si associa il problema della riqualificazione e l’aggiornamento continuo dei lavoratori senior. Ma il digitale per fortuna non è tutto. Esce fortemente anche la ricerca di qualità umane, le soft-skills, e la valorizzazione delle competenze informali costruite come si dice on the job. Questo è un contributo che i lavoratori senior possono dare alle nuove leve native digitali perché sapere tutto di automazione ma non conoscere le dinamiche lavorative che sostengono la cooperazione non funziona. 

Unanime il ringraziamento ai lavoratori e ai sindacati per non aver mai interrotto il lavoro di trasporto e logistica necessario all’approvvigionamento del Paese e alla continuità degli scambi commerciali nel pieno della pandemia. Si conferma l’urgenza dello sviluppo di nuove competenze che abbraccino la digitalizzazionee l’automazione della logistica, ma anche delle sempre cruciali soft-skills, e di riqualificazione delle professionalità che escono dal mercato del lavoro. In chiusura degli Stati Generali Mondo Lavoro del MARE, arriva un contributo in questo senso proprio da Paola Girdinio, presidente del Competence Center for security and optimization of strategic digital infrastructures START 4.0. Girdinio ha illustrato i progetti in lavorazione per assecondare e supportare la transizione digitale ed ecologica indicata dal Governo e dalla UE. Iniziative altamente innovative in tema di tecnologie abilitanti 4.0 per la sicurezza delle infrastrutture della Blue Economy e dell’energia, del valore complessivo di 1.3 milioni di euro, vedranno la luce grazie al contributo di 510 mila euro erogato da Start 4.0. Al centro, la sicurezza delle infrastrutture, dei lavoratori, dei passeggeri, delle centrali di produzione di energia solare e della circolazione dei dati - cybersecurity. E lo sviluppo di una professionalità già al centro del dibattito sullo sviluppo tecnologico e sulla formazione: l’innovation manager. Ancora innovazione, e non solo tecnologica, con Walter Vassallo, CEO Letyourboat e Oscar per l’Innnovazione. Che ha lanciato l’idea di creare un ponte tra turismo di terra e di mareattraverso una flotta di barche che offrono esperienze anche da ferme. Per esempio attraverso un’offerta B&B su barche ormeggiate, coinvolgendo i marina nell’indotto di service di accoglienza e pulizie delle imbarcazioni. Non mancano le esperienze crocieristiche, ma sempre in un’ottica ponte: Letyourboat offre infatti una rete di collegamento all’entroterraattraverso eventi culturali, esperienze naturalistiche e occasioni enogastronomiche nei paraggi dello specchio di mare scelto per le proprie vacanze. Mare e terra quindi stretti in un vincolo di collaborazione che, a detta dei presenti, spesso manca: non occorre essere ricchi e comprarsi una barca, né sviluppare talenti marinari di skipper per godere della esperienza di bordo, con i piedi per terra. E alla fine ci guadagnano tutti: i marina, il mare e l’entroterra in una logica win-win-win