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Il valore del mercato del vino per l’Unione Europea

Quella del vino è una filiera complessa, particolarmente sensibile alle fibrillazioni economiche del mercato e ai mutamenti geopolitici. Il 2023 è stato un anno caratterizzato da una significativa diminuzione degli scambi internazionali e, di conseguenza, del volume di prodotti esportati. Il conflitto tra Russia e Ucraina e il riacuirsi del conflitto israelo-palestinese hanno gettato i mercati e le economie di diversi Paesi nel vortice dell'instabilità economica e finanziaria. Gli investitori hanno deciso di indirizzare i propri introiti verso filiere più classiche e remunerative - come quella dell'oro - dal momento in cui, come stima il Fondo Monetario Internazionale, la maggior parte dei Paese non tornerà alle condizioni pre-pandemiche fino al 2025.

La filiera del vino genera ricchezza in tanti territori rurali, li preserva dallo spopolamento, tutela e incentiva la biodiversità, contribuisce al fisco e all’occupazione in maniera importante. Il valore del vino per l’Unione Europea è enorme, come testimonia il CEEV - Comité Vins, il Comitato Europeo delle Imprese del Vino, con uno studio condotto da PwC, che ha quantificato l’impressionante contributo socio-economico e ambientale del settore vinicolo all’Unione europea. “Con quasi 3 milioni di posti di lavoro e un contributo di 130 miliardi di euro al Pil dell’Unione Europea nel 2022, pari allo 0,8% del totale, il settore vitivinicolo svolge un ruolo fondamentale nella sostenibilità socioeconomica delle zone rurali dell’Ue. Una benedizione contro lo spopolamento delle campagne”, ha dichiarato Mauricio González-Gordon, presidente Ceev.

Il parere di Umberto Callegari - CEO Terre d’Oltrepò

E’ vero che lo sviluppo del mercato del vino aiuta a contrastare lo spopolamento delle campagne?

“Sì, ma non è questo il punto. Per parafrasare Max Planck, l’evoluzione sociale non avviene perché le persone cambiano idea, ma in modo connesso all’avvicendarsi di nuove generazioni. Credo che questo shift culturale e generazionale stia investendo adesso il mondo del vino. Le regole del gioco stanno cambiando e credo che sarà fondamentale la capacità di leggere e comprendere questi cambiamenti e adattarsi ad essi. Ci troviamo in un settore più veloce, competitivo, polarizzato e capital intensive. Credo che a questa nuova realtà occorra rispondere in modo razionale seguendo principi economici oltre che valoriali ed etici”.

Quali sono i suoi suggerimenti?

“In particolare, vedo la necessità di aggregazione e approccio sistemico sia a livello europeo, sia a quello nazionale: i diversi Paesi produttori hanno diversi gradi di avanzamento e maturità sistemica (Francia molto bene, Spagna bene, Italia ancora divisa e quindi più debole in un mercato internazionale). Dopo questa premessa, riferendoci brevemente al tema italiano e alle ragioni economiche alla base dell’aggregazione, occorrerebbe condurla e strutturarla a livello regionale: in ipotesi, un centro egemone per regione che massimizzi leva operativa e marginalità.

Dare vita possibilmente a una serie di scambi sul territorio porterebbe al risultato di un valore pari al quadrato del valore dei player connessi, con una forza decisamente maggiore a livello internazionale (cito ad esempio il caso del metodo classico in Italia). Al mercato del vino, sempre più polarizzato e capital intensive, occorre che alla dimensione di prodotto si aggiunga quella di servizio per garantire marginalità. Siamo all’alba di una nuova era nel mondo del vino. Dobbiamo evolvere o il rischio è quello di una disruption certa e dolorosa”.

Quali sono le stime per lo sviluppo futuro del mercato del vino?

“Purtroppo, la Commissione Europea nell'Outlook 2023-2025 ha stimato al ribasso le previsioni a medio termine per il settore vitivinicolo, delineando uno scenario di riduzione della superficie vitata e fluttuazioni nella produzione dovute ai cambiamenti climatici. In linea con una produzione mondiale in caduta libera rispetto al 2022, nei Paesi dell'Unione Europea la produzione di vino ha raggiunto il livello più basso dal 1961 in termini di quantità. Per fare un confronto, tra il 2016 e il 2020 la produzione media annua è stata di 165 milioni di ettolitri; mentre nel 2020 rappresentava il 45% delle zone viticole mondiali, il 64% della produzione e il 48% del consumo. Fattori come le malattie fungine, le inondazioni, e, specie nell’Europa del Sud, forti periodi di siccità, hanno causato stress idrici alle viti mettendo seriamente a rischio la vendemmia. Sono pochi difatti i Paesi che, godendo di condizioni metereologiche favorevoli, hanno effettuato raccolti nella media. La situazione produttiva italiana non si discosta da questo trend negativo. La produzione di 39 milioni di ettolitri è risultata tra le più scarse degli ultimi decenni a fronte, tuttavia, di un aumento delle giacenze (51 milioni di ettolitri al 31 luglio 2023)”.

Quanto ha giocato negativamente la crescita dell’inflazione?

“L'alto tasso d'inflazione e l'aumento dei tassi d'interesse attuato dalla Banca Centrale Europea hanno giocato un ruolo determinante nella diminuzione del reddito e, di conseguenza, del potere d'acquisto dei consumatori, ora più prudenti nella spesa e più orientati ad acquisti difensivi. A tal proposito, sono gli stessi dati a confermare questa tendenza negativa sul fronte della domanda interna. Nonostante si sia verificata una leggera ripresa dei consumi a partire dalla tarda primavera, i primi dieci mesi del 2023 hanno registrato un calo del volume prodotto del 3,1%. Nello specifico, laddove i vini fermi evidenziano una diminuzione di volume del 4%, gli spumanti mantengono volumi superiori rispetto al 2022 (+1%). È inevitabile quindi come questa serie di variabili, dove è costante la persistenza del macro-tema del cambiamento climatico, abbia un impatto negativo sul mercato dei vini pregiati”.

Queste considerazioni valgono solo per il mercato interno o anche per quello estero?

“Sul fronte dell'export, i primi nove mesi del 2023 sono rimasti stabili, segnando una battuta d'arresto rispetto agli 8 miliardi di euro di esportazioni che l'Italia aveva incassato nel 2022. Da segnalare, inoltre, un lieve calo dei valori (-2%) dovuto al diverso mix di prodotti e che vede crescere i vini sfusi del 19% in volume, mentre i vini imbottigliati scendono del 5%. In rallentamento anche il segmento degli spumanti con un - 3% in volume a fronte di un +2,5 in valore”. 

L’Unione europea è consapevole dell’importanza del mercato vinicolo?

“Le sfide, sempre più strutturali e non congiunturali, che minacciano il settore vitivinicolo hanno spinto l'Unione Europea ad elaborare provvedimenti legislativi dal significato contrastante. D’altronde, il settore vitivinicolo è il più ampio settore agroalimentare dell'UE in termini di esportazioni e nel corso del tempo è stato oggetto di una serie di regolamentazioni (regolamento delegato 2018/273 e regolamento 2021/2117) le quali, tuttavia, hanno limitato le potenzialità economiche del mercato. Ad esempio, l'approvazione della legge irlandese avvenuta anche grazie al via libera della Commissione Europea se da un lato promuove una maggiore trasparenza, dall'altro, inevitabilmente, penalizza le stesse imprese della filiera del vino. Ragione per cui l'Europa dovrebbe cambiare registro nell'assistere il mercato vitivinicolo, valorizzandone l'impatto strategico rispetto alla crescita economica dell'intero sistema Paese”.

Come potremmo sintetizzare lo scenario futuro?

“In conclusione, lo scenario futuro necessita di una riflessione strategica e non solo regolativa dell'Unione Europea sulla gestione del mercato vitivinicolo, considerandone l'impatto sulla crescita economica complessiva. Il settore del vino si troverà ad affrontare da un lato una ridefinizione delle preferenze dei consumatori, con una spinta verso vini più accessibili e meno complessi; dall’altro un’offerta sempre più insidiosa, laddove la sovrapproduzione rischia di compromettere sia i prezzi sia la sostenibilità economica. Gli Stati nazionali e l'Unione Europea dovranno riconsiderare la propria politica, puntando su un approccio che unisca sostenibilità e competitività”.

 



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