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L'enorme successo dei social network è dovuta sia alla loro gratuità, sia alla loro utilità per l'utente, al punto che alcuni analisti ritengono che la loro redditività sia solo un criterio secondario. Tuttavia la concorrenza è molto forte nel settore della tecnologia, e la redditività non immediata di alcuni social network può avere implicazioni per il loro futuro, spiega Peter Schweitzer, che insegna economia digitale e dei media all’Università di Aix-Marseille.

Nel settore delle nuove tecnologie e di internet i social network come Twitter sono oggetto di attenzione in questo momento, mentre si impone minaccioso il loro concorrente Facebook. Si tratta in genere di una scarsa comprensione dell’economia quella che spinge alcuni a difendere l'utilità di un servizio al di là dell'obbligo di considerare i costi-benefici, imposto dai mercati finanziari: servizi come Twitter e Snapchat non sono in grado di trovare un modello di business per garantire la loro sostenibilità, soprattutto per mancanza di inserzionisti.

Se Twitter e Facebook funzionano in modo diverso, così da non competere in pratica sugli utenti (molti hanno un account su Facebook e un account Twitter, ma sono usi diversi e complementari), è comunque una lotta dichiarata per dividersi la "torta" degli investimenti, di cui stanno cercando di prendere la quota maggiore possibile.

Senza entrare nei dettagli, possiamo dire che Facebook ha trovato soluzioni pubblicitarie nuove e abbastanza abbordabili nei costi, migliorando il suo servizio ed estendendolo a diverse categorie di utenti: gli individui, le aziende e le agenzie. Invece Twitter innova poco, si adatta lentamente e difficilmente riesce a invogliare gli inserzionisti con i tweet o hashtag sponsorizzati.

Per quanto riguarda Snapchat, il principale concorrente è proprio Instagram, di proprietà di Facebook e molto ben integrato nel suo mondo, che ha deciso di copiarne il funzionamento, integrando funzioni relativamente simili, inizialmente centrate sui contenuti fotografici. Quindi lo spazio a disposizione di Snapchat andrà presto a scomparire.

Jerome Keinborg considera determinante l'utilità di Twitter, come la presenza di 313 milioni di utenti attivi sembra confermare. Ma questi utenti non pagano un centesimo per godere di servizi che costano somme considerevoli a chi li fornisce. Già lo scorso anno abbiamo visto che, nonostante un fatturato di 1,2 miliardi di euro, l'azienda ha sopportato una perdita di 510 milioni di euro. Con un calcolo approssimativo, si può dedurre che i servizi forniti ai propri utenti da Twitter fagocitano 1,69 miliardi. In altre parole, il piacere di utilizzare questo social network è reso possibile da una massiccia iniezione di denaro da altre categorie di individui e aziende: in primo luogo gli inserzionisti, ma soprattutto gli azionisti di Twitter che devono ripianare la perdita ogni anno.

Una semplice verità ineluttabile è che nessuno accetta perdere in modo permanente il proprio denaro, nessun investitore consapevolmente alloca dei fondi per finanziare aziende che offrono i loro prodotti senza una strategia di business che ne preveda il ritorno. Naturalmente una società può accettare perdite temporanee dovute alla concorrenza o avviare investimenti per massimizzare i ricavi futuri.

Un requisito per le imprese che si basano sulla rete dovrebbe essere quello di attrarre il massimo numero di utenti il ​​più rapidamente possibile al fine di convincere ogni giorno nuovi utenti potenziali ad aggregarsi al nuovo fenomeno virale. Una volta che la massa critica è raggiunta, si può iniziare a pensare al ritorno dell’investimento, con soluzioni generalmente basate sulla pubblicità, ma non solo.

Facebook è un ottimo esempio: dal 2004 al 2011 la società ha praticamente regalato il servizio e affrontato perdite considerevoli: nel frattempo però è diventato così centrale nella vita di centinaia di milioni di persone che sono stati gli inserzionisti a diventare i reali clienti di Facebook.

I singoli individui, in veste di utenti del social network, continuano a non essere i clienti principali, e infatti continuano a non pagare nulla: sono solo numeri, ben indicizzati, per attirare i veri clienti, gli inserzionisti, siano essi aziende o privati.

Gli ottimi risultati per Facebook nel secondo trimestre 2016 confermano che la rete è diventata una macchina da guerra commerciale, arrivata al suo apice dopo quasi 10 anni di investimenti, in un settore economico in cui le fortune sono create e distrutte anche più rapidamente che altrove.

Lo svantaggio di questa strategia è quello di far credere agli utenti che la gratuità sia insita nella rete: allora un’iniziativa diventa reale e sostenibile solo quando si possano creare fatturati alternativi in quantità sufficiente da altre fonti che non siano i semplici destinatari del servizio in sé. “Gratuito” significa in realtà "pagato da altri." E se gli inserzionisti sono disposti a pagare, nella speranza che i loro annunci riportino velocemente indietro i loro soldi, questo non è il caso degli azionisti, che investono il loro piccoli o grandi capitali in attesa di un dividendo che non può essere rinviato a tempo indeterminato.

Nel nostro esempio gli utili sono creati dalla pubblicità, a condizione che tali entrate siano più elevate dei costi, cosa che non sta avvenendo ad esempio con Twitter e Snapchat, e che con Facebook è fortunatamente accaduto, ma solo dopo anni di attesa.

Raggiungere l'equilibrio finanziario va bene, ma permette solo di non diventare più poveri. In un mondo dinamico in cui gli investitori hanno molte opportunità di investimento redditizie, chi sarà invogliato a mettere i propri soldi ponendosi come unica prospettiva quella di non perdere?

Se si può dire che i mercati talvolta mostrano un’insofferenza eccessiva di fronte alla mancanza di profitti immediati, la situazione di Twitter e Snapchat non evidenzia solo mancanza di profitti nell’immediato, ma un problema di modello business. Possiamo dubitare della loro capacità di creare valore se li confrontiamo con altre iniziative che si sono affacciate sul web.

Forse è il momento di capire che altre fonti di reddito possono essere cercate sulla rete, con la creazione di servizi paralleli basati sul numero degli utenti già raggiunti, senza la folle rincorsa ai numeri necessari a raggiungere il pareggio con i soli ricavi pubblicitari.

Lo hanno capito realtà più legate al mondo reale, come ad esempio Uber e Amazon, cresciute grazie a internet, che già parlano con Fca di auto senza pilota, o il gruppo di acquisto Lyoness, che con un’enorme scelta di imprese convenzionate crea ritorno di denaro ad ogni acquisto per i propri soci, diventando così una delle più grandi shopping community del mondo.

Paolo Brambilla

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