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Dicker torna in libreria: già boom di vendite per “Un animale selvaggio”
La Nave di Teseo ha pubblicato di recente il nuovo thriller/giallo di Joël Dicker: “Un animale selvaggio”. Eccone la recensione.
Una coppia all’apparenza perfetta nella periferia chic di Ginevra: una donna bellissima e carismatica, un uomo di successo, due figli molto amati, una casa di vetro in un paradiso naturale con piscina. Tutti li invidiano, specialmente una famiglia di vicini. Ma le cose stanno davvero così?
Quando si apre per la prima volta Un animale selvaggio, il nuovo romanzo di Joël Dicker edito da La Nave di Teseo, ci si aspetta di dedicargli parecchie ore piacevoli, perché si tratta di un bel volume di circa 450 pagine; invece, dopo appena tre giorni – questa almeno è stata la mia esperienza, sebbene solitamente non sia così celere nella lettura – il libro era già concluso. Cosa è successo? È accaduto che, come sempre, Dicker è un mago oltre che uno scrittore, poiché riesce come pochi altri ad accalappiare il lettore nella complessa tela della trama e, tenendolo con il fiato sospeso fino all’ultimo capoverso, crea una vera e propria dipendenza (nel senso positivo del termine) dalla storia.
All’inizio ci sembra di inquadrare la situazione con una certa chiarezza: c’è una rapina, che si svolge il 2 luglio 2022 a Ginevra, e c’è una narrazione parallela che ha inizio venti giorni prima del fatto; dunque, due linee temporali alternate tra loro. Ci sono poi due famiglie: la prima è il modello della perfezione, nel suo insieme di bellezza, successo, sintonia tanto tra moglie e marito quanto tra genitori e figli, ricchezza, carisma, una vita sociale piena e gratificante; la seconda è più ordinaria, con un poliziotto che in un primo momento non sembra brillare troppo nel proprio mestiere, una moglie commessa ormai non più attraente, due scalmanati figli piccoli spesso lasciati alla “custodia” di una svogliata babysitter e una casa anonima in un complesso ribattezzato ironicamente dagli abitanti snob della zona l’Obbrobrio. Insomma, l’insoddisfazione e la mediocrità regnano sovrane. Pertanto, nel giro di poche pagine ci sembra di aver chiari gli elementi cardine: i vicini invidiano la coppia perfetta, per qualche motivo uno di loro verrà coinvolto in una rapina, ma alla fine “i buoni” riusciranno a trionfare. È così? Neanche per idea.
Chi già conosce Dicker e ha letto i suoi romanzi precedenti sa bene che con lui non si può abbassare la guardia neppure per un istante, perché dietro ogni pagina si nasconde l’ennesimo colpo di scena, l’elemento aggiuntivo, un ulteriore flashback, un dettaglio che fino a quel momento era stato tenuto segreto e può fare la differenza. Perciò, quello che accade durante la lettura di questo libro è il continuo capovolgimento delle certezze che ci si costruisce a mano a mano che si procede nella storia. Bisogna essere oltremodo flessibili e pronti a fare balzi nel tempo avanti e indietro anche di quindici anni, lasciando spazio a nuovi personaggi cruciali che entrano in scena dopo molte pagine, per apprezzare fino in fondo la maestria di Dicker nell’inventare trame, sottotrame, ritratti di soggetti quanto mai complessi ed eventi dalle molteplici sfaccettature. Ne consegue che la rapina stessa può essere raccontata in più modi – la tecnica narrativa dell’autore prevede proprio la riscrittura di alcune scene aggiungendo elementi mancanti –, cambiando ogni volta completamente prospettiva e significato.
Pur non volendo anticipare troppo, perché come si sa nei thriller e nei gialli è bello lasciar scoprire al lettore i colpi di scena, possiamo tuttavia rendere noto un piccolo dettaglio: Un animale selvaggio è la pantera, quella tatuata sulla coscia di Sophie Braun, la bellissima avvocatessa che fa innamorare ogni uomo e manda in tilt anche il vicino di casa, l’impeccabile poliziotto Greg, al punto da far sorgere in lui una vera e propria ossessione. Non resta immune al suo fascino neppure la moglie di Greg, Karine, la quale – pur inviandola per tutto ciò che Sophie possiede e che lei invece crede di non avere – non può fare a meno di ambire a diventare sua amica, confidente, alleata. In un certo senso, questo è un romanzo in cui vincono le donne, tutte le donne, anche grazie alla capacità di far fronte comune di fronte alle difficoltà. Di certo, Sophie non è la moglie, la madre e l’avvocatessa impeccabile che sembra, eppure quando verrà alla luce il suo lato più oscuro, ben lungi dal disprezzarla, il lettore se ne sentirà ancora più attratto, empatizzando con lei sino alla fine, nonostante alcune scelte discutibili. Insomma, anche chi legge il libro finisce inevitabilmente per essere vittima dell’incantesimo che Sophie lancia su tutti coloro che incontra.
Non mancano nel testo i riferimenti letterari ad altri scritti e a importanti tasselli del cinema. In particolare, Dicker guarda alla storia e alla cultura italiana dando un ruolo di rilievo al libro inventato Animali selvaggi – da cui il titolo del romanzo – dello scrittore immaginario Carlo Viscontini; al suo interno si parla dei conti Alani di Madura e del vicino borgo di Brachetto. Tra finzione e realtà, Dicker lascia trasparire la sua predilezione per la letteratura italiana, per le antiche casate nobiliari e per quei piccoli villaggi sospesi nel tempo, di cui il nostro Paese è pieno. In un’intervista rilasciata al programma Rai Splendida cornice condotto da Geppi Cucciari, Dicker ha raccontato, a proposito del tema ricorrente del passato incancellabile che ritorna per mettere in crisi il presente: “Penso che ognuno di noi vorrebbe liberarsi di qualcosa: pulsioni, voglie o ossessioni che ci teniamo per noi. Siamo molto ossessionati dalle apparenze, dal mostrarci nel nostro modo migliore, e ci dimentichiamo a volte che la nostra identità è fatta di tutte queste pulsioni, di questi lati meno confessabili che fanno di noi ciò che siamo”. Al link sotto potrete vedere la versione integrale di questa interessante intervista, mentre noi estrapoliamo un breve ma significativo passaggio, dove protagonista è l’amore, con le rinunce che si è disposti a fare per l’uomo o la donna amata (NB: qui non in versione integrale per evitare lo spoiler).
«”È ora di andare, vero?” chiese Sophie. Doveva riprendere la Peugeot grigia e tornare a Saint-Tropez. E prima lo faceva, meglio era, ma Fauve avrebbe voluto prolungare quegli istanti. Aveva previsto champagne e caviale per festeggiare (…). Tuttavia si rendeva perfettamente conto che sarebbe stato fuori luogo, in quel frangente, tirar fuori le vettovaglie. Voleva solo un ultimo momento insieme a lei. L’ultimo ricordo di loro che avrebbe portato con sé. Dopodiché sarebbe scomparso per sempre dalla sua vita, non solo per mantenere la promessa, ma perché aveva compreso il suo errore (…). Era nella Casa di vetro, con Arpad e i suoi figli, che ormai (Sophie) si stava realizzando. Doveva sparire per restituirle la libertà. Se la amava davvero, doveva rinunciare a lei».