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Esce "L'arma del gas", il nuovo libro di Andrea Greco e Giuseppe Oddo
I due autori ripercorrono la storia delle intese che hanno portato l'Europa occidentale a una sempre maggiore dipendenza dal gas siberiano
Esce oggi per Feltrinelli "L'arma del gas", il nuovo libro di Andrea Greco e Giuseppe Oddo
La decisione dei governi europei di affrancarsi dalle importazioni di gas dalla Russia, che è stata per decenni tra i nostri maggiori fornitori di materie prime energetiche, ha avuto come conseguenza un forte aumento dei prezzi del metano e dell’elettricità, che a oltre un anno e mezzo dallo scoppio della guerra in Ucraina risultano più che raddoppiati rispetto alla media storica degli ultimi venti anni e non accennano a diminuire.
L'Arma del gas, il nuovo libro di Andrea Greco e Giuseppe Oddo
La guerra in Ucraina e la dipendenza dal gas siberiano
Andrea Greco e Giuseppe Oddo ripercorrono ne L’arma del gas la storia delle intese che hanno portato l’Europa occidentale a una sempre maggiore dipendenza dal gas siberiano – dagli accordi degli anni Sessanta tra l’Eni e l’Unione sovietica a quelli sottoscritti dalla Germania – e analizzano le cause delle crisi seguite alla dissoluzione dell’Urss tra la Federazione russa e i paesi di transito dei metanodotti (il più importante dei quali è proprio l’Ucraina) che collegano i giacimenti della Siberia ai mercati europei.
Il fulcro del loro ragionamento è che lo sganciamento dell’Europa dal gas russo, i cui acquisti, regolati da contratti a lunghissimo termine, hanno assicurato per cinquant’anni al Vecchio continente convenienza e stabilità dei prezzi, ha aperto una fase di incertezza e turbolenze che continuerà ad avere conseguenze pesanti per famiglie e imprese.
L’avere svincolato gli acquisti di gas dai contratti a lungo termine e l’avere preso come base di riferimento degli scambi europei la piattaforma di Amsterdam (il Ttf), dove sono negoziate al momento le partite spot e i contratti “futuri” di metano, ha dato la stura alla speculazione e reso i prezzi erratici. Il punto di partenza di questa discontinuità risale al 2008, l’anno della crisi finanziaria internazionale che innesca la recessione e fa crollare a 40 dollari al barile il prezzo del petrolio, cui all’epoca era indicizzato quello del gas importato via tubo da paesi fornitori quali Algeria, Norvegia, Libia e Russia (p. 104). Con il passare degli anni diventa evidente come il gas naturale basato sui contratti a lungo termine, che viaggia attraverso i metanodotti internazionali ed è collegato all’andamento dei prezzi del greggio, sia divenuto molto più caro del gas liquefatto (il Gnl) trasportato via mare e scambiato al Ttf di Amsterdam.
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Per beneficiare del differenziale di prezzo gli operatori chiedono ai paesi produttori che i nuovi contratti siano agganciati alla Borsa di Amsterdam. Anche l’Eni, con graduali modifiche concluse nell’ottobre 2021, decide di assumere come base di riferimento le quotazioni Ttf (p. 105), ma sbaglia tempistica, perché nell’autunno di quell’anno i valori al mercato spot sono già in risalita e quelli dei contratti a lungo termine stanno tornando ad essere più economici anche per effetto delle manipolazioni dei prezzi effettuate da Gazprom nella fase preparatoria dell’aggressione all’Ucraina, nell’illusione di usare il gas come un’arma per strangolare le economie europee, inducendole ad accettare l’annessione del Donbass.
Oltretutto, fino al 2022 l’82% del metano acquistato dall’Italia è arrivato via tubo, solo il 18% ci è giunto via mare in forma liquida per essere poi rigassificato (p. 103). Si è abbandonato, con una reazione repentina all’invasione dell’Ucraina e senza soppesarne le ricadute geopolitiche ed economiche, il mercato che aveva assicurato all’Europa fin dagli anni Settanta metano a basso prezzo, per spostarci su un altro mercato volatile e speculativo – quello olandese – che riflette una quota marginale del nostro mix energetico (il 18%).
Anche la Russia si è adeguata a questa nuova situazione di mercato, affiancando al trasporto via tubo il trasporto via nave, dove oggi opera in concorrenza con paesi quali Stati Uniti e Qatar, tra i maggiori esportatori al mondo di Gnl.
Il risultato è stato che Snam e Gse su input del governo Draghi, per ricostituire la riserva strategica nazionale e colmare gli stoccaggi nell’estate 2022, hanno dovuto acquistare il metano a prezzi compresi tra 100 e 300 euro al Megawattora, registrando una perdita potenziale fino a 7 miliardi coperta con fondi pubblici e favorendo i comportamenti opportunistici degli speculatori (p. 115). Alla Germania del cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz è andata anche peggio: lo Stato tedesco, che ha peraltro subito il sabotaggio del Nord Stream, ha dovuto salvare dal dissesto Uniper, il maggiore importatore di gas russo, sborsando svariate decine di miliardi.
Ma l’aumento dei prezzi non è l’unica incognita scaturita dal riassetto dell’industria energetica dopo l’invasione dell’Ucraina. Se l’accelerazione dell’import di gas siberiano nell’era Putin aveva accresciuto a dismisura la dipendenza dell’Europa dalla Federazione russa, oggi corriamo il rischio di sbilanciare i nostri acquisti verso altri fornitori: non solo gli Stati Uniti d’America, nostri maggiori alleati nella Nato, spinti dalla raggiunta autosufficienza energetica a ricercare una posizione dominante sul mercato europeo del gas, ma anche paesi come l’Algeria, storico alleato della Russia in campo militare, e l’Azerbaigian, in guerra con l’Armenia per il Nagorno-Karabakh, retto da un regime non meno dispotico di quello russo e vicino alla Turchia, paese le cui mire espansionistiche nel Mar di Levante, ricco di giacimenti di metano, rischiano di destabilizzare il Mediterraneo, scatenando nuove guerre per l’energia.
Se il secolo scorso è stato infatti caratterizzato dai conflitti per il petrolio, le guerre del XXI secolo saranno combattute soprattutto per il controllo del gas naturale, fonte essenziale per i prossini tre decenni destinata ad accompagnare, assieme alle energie rinnovabili, la transizione verso la neutralità carbonica e verso gli obiettivi della Conferenza dell’Onu 2015 di Parigi sui cambiamenti climatici.
Il caso Eni e le importazioni di gas dalla Russia
Gli autori ricostruiscono le vicende che spinsero nel novembre 2006 l’Eni di Palo Scaroni (ritornato alla ribalta come presidente dell’Enel) a prolungare fino al 2035 i contratti di importazione di gas dalla Russia all’epoca in vigore, la cui scadenza era attesa tra il 2017 e il 2027 (pp. 49-67). Che fretta c’era di rinegoziarli per altri trent’anni? Chi guadagnò da quell’operazione? A causa di quei contratti (regolati dalla clausola take or pay, che obbliga l’acquirente a pagare al fornitore quantitativi di gas prefissati, anche nel caso in cui lo stesso acquirente non sia in grado di ritirarli e di consegnarli), l’Eni dovrà presto avviare complessi arbitrati internazionali per non essere obbligata a pagare 12 miliardi di penali al monopolista russo.
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I rapporti energetici tra Germania e Russia
Ampio spazio è dedicato nel libro anche ai rapporti in campo energetico tra Germania e Russia avviati durante il cancellierato di Gerard Schroeder e proseguiti durante il cancellierato Merkel: rapporti sfociati nella posa del tubo sotto il Mar Baltico voluto dal Cremlino per escludere dal transito del gas l’Ucraina, colpevole agli occhi di Putin di volersi sottrarre alla sfera d’influenza russa e di aspirare a far parte della Ue e del sistema difensivo atlantico.
La politica del “cambiamento attraverso il riavvicinamento”, attuata con la Ostpolitik nel periodo della guerra fredda, evolve dunque, dopo la riunificazione tedesca, in un “riavvicinamento attraverso l’interdipendenza”, che consiste nel creare forti e duraturi legami commerciali con il Cremlino in un settore strategico come quello degli scambi di gas e nella prospettiva di un’integrazione a lungo termine della Russia in Europa. Dietro Merkel, grande artefice del dialogo con Putin, agisce una potente lobby guidata da Schröder, di cui fanno parte esponenti di primo piano della politica tedesca (p. 87). E Gazprom ha promosso e sponsorizzato con 200 milioni una fondazione per il clima e l’ambiente che avrebbe dovuto finanziare in modo occulto il raddoppio del Nord Stream, aggirando le sanzioni occidentali scattate dopo l’invasione della Crimea.
Per aumentare il loro grado di autonomia energetica Germania e Italia hanno in programma la costruzione di impianti galleggianti di rigassificazione per la trasformazione del Gnl dallo stato liquido a quello gassoso. La Snam ha piazzato uno di questi impianti nel porto di Piombino, tra le proteste della popolazione, e un altro dovrebbe essere sistemato nel 2024 al largo di Ravenna. È tuttavia interessante l’esito di una ricerca effettuata in Germania, commissionata dal ministero dell’Economia e del Clima all’Istituto di Economia dell’energia dell’Università di Colonia. Dal documento emerge che una parte dei rigassificatori programmati in Germania potrebbe rivelarsi superflua. Nell’analisi è evidenziato che il governo tedesco prevede un’importante sovraccapacità di Gnl.
Se il governo attuasse in pieno i suoi piani, i terminali di cui è stata prevista la costruzione finirebbero per funzionare a meno del 50% della loro capacità di trattamento da qui al 2030. Anche l’Italia corre un rischio del genere? Il governo intanto prepara in risposta alla crisi energetica un Piano Mattei per l’Africa, propagandato da circa un anno dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ma di cui si sa ancora poco e niente, e che molto difficilmente, come scrivono gli autori, potrà anche solo somigliare a quello attuato dal fondatore dell’Eni in Africa.
Il ruolo della Cina nella grande partita geopolitica del gas
Dall’analisi sviluppata da Greco e Oddo emerge infine prepotentemente il ruolo della Cina con il suo enorme fabbisogno di gas e la sua leadership mondiale nella produzione-raffinazione dei metalli strategici e nel settore dei pannelli solari. Gazprom ha già dirottato per necessità verso la Repubblica popolare parte del suo gas che oggi non trova più acquirenti sui mercati europei. E con la posa del metanodotto Forza della Siberia 2, il cui completamento attraverso la Mongolia dovrebbe avvenire per il 2030, dovrebbe poter trasferire in Cina e da qui al resto dell’Asia (destinata ad assorbire i maggiori quantitativi di metano su scala mondiale) volumi sempre più consistenti di gas naturale.
Chi sono gli autori Andrea Greco e Giuseppe Oddo
Andrea Greco e Giuseppe Oddo hanno già pubblicato insieme Lo Stato parallelo. La prima inchiesta sull’Eni
(Chiarelettere, 2016). Greco, inviato de “la Repubblica”, ha anche scritto Banche impopolari. Inchiesta sul credito popolare e il tradimento dei risparmiatori (con Franco Vanni, Mondadori, 2017). Oddo, già inviato de “Il Sole 24 Ore”, ha pubblicato vari altri saggi per Feltrinelli, tra cui L’Italia nel petrolio. Mattei, Cefis, Pasolini e il sogno infranto dell’indipendenza energetica (con Riccardo Antoniani, 2022).