Libri & Editori

L’autrice bestseller Shapiro: “Ho scelto l’Italia per insegnare a scrivere"

di Chiara Giacobelli

È uscito da poco nel nostro Paese per Neri Pozza il suo ultimo romanzo “Segnali di fuoco”

Uno dei temi fondamentali del libro è la casualità, ovvero il concetto per cui basta cambiare un piccolo elemento e tutto il resto si modifica di conseguenza. Oggi viviamo nell’epoca in cui ci viene detto che “se vuoi puoi”. È così, secondo lei? O le storie dei suoi personaggi dimostrano altro?

“Siamo entrati a far parte di un’epoca nella cui cultura prevale l’idea deterministica: tutto è possibile, se ci pensi si manifesterà. Io, invece, non sono affatto convinta di questo, anzi penso che il mondo e la vita abbiano un forte potere su di noi, portandoci verso strade diverse rispetto a quelle che avevamo pianificato. Ce lo ha dimostrato la pandemia, quando abbiamo visto le nostre agende svuotarsi e il mondo fermarsi. Speravo che avessimo imparato qualcosa, ma a livello collettivo non è successo. Si pensa tuttora che la maggior parte della vita sia controllabile, invece non è così. Mi è quindi interessato molto esplorare questo aspetto della casualità, attraverso una costellazione di personaggi connessi tra loro in maniera misteriosa; a volte neppure loro stessi comprendono il perché di questi legami inspiegabili, tuttavia si viene a mano a mano a creare uno schema non predeterminato”.

Un altro tema centrale del libro è il non detto, i segreti inconfessabili, i drammi che vengono sepolti, ma non per questo ci rendono liberi o spariscono. A suo parere si comunica abbastanza nella nostra società?

“Siamo ormai abituati a vedere persone incollate al cellulare in qualunque momento: sembra che niente possa più aspettare e che le nostre vite si basino su messaggi di testo, foto, zoom come normale forma di comunicazione umana. Tuttavia, connettersi di persona, osservare il linguaggio del corpo, stabilire un contatto visivo e registrare le reazioni istintive è un’altra cosa. I dispositivi tecnologici agiscono come cortine fumogene che aumentano la divisione tra individui, in quanto non c’è soltanto la distanza fisica data dallo strumento, ma anche il fatto che passa una realtà filtrata, Photoshoppata, piena di contenuti creati ad hoc che nulla hanno a che fare con l’esperienza autentica. Si finisce per paragonare le nostre vite a quelle fittizie degli altri, facendoci sentire sempre meno; di conseguenza, noi stessi non riusciamo più ad essere onesti e perdiamo il contatto con la nostra intimità. Non dico che dobbiamo esporre le vulnerabilità davanti a tutti, ma questa cultura ci impedisce di essere autentici”.

Ciò che per te è autentico, ad esempio, è l’amore per l’Italia. Ce lo confermi?

“L’Italia è il mio paese preferito. Sono venuta qui per la prima volta da studentessa universitaria a Firenze e poi tramite una cara amica di famiglia ho visitato l’Umbria. L’ho osservata vivere di scultura e intanto far crescere nel vostro Paese i suoi figli: mi è sembrato tutto incantevole e da allora ho desiderato stabilire anch’io un rapporto più profondo con l’Italia”.