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“La città dei vivi” di Nicola Lagioia: Roma tra bellezza eterna e sfacelo

di Chiara Giacobelli

Il racconto dettagliato e ricco di riflessioni dell’omicidio Varani che sconvolse l’Italia intera

 

La città dei vivi di Nicola Lagioia, vincitore del Premio Strega 2015 con il romanzo La ferocia e Direttore del Salone Internazionale del Libro di Torino, è arrivato da poco in libreria per Einaudi, ma ha già fatto parlare molto di sé. Un libro crudo, spietato come l’omicidio che racconta, intriso di verità e al contempo di interpretazioni, nel tentativo di cercare una spiegazione logica, laddove forse è davvero impossibile trovarla. Un romanzo magnetico, anche, che sin dalla prima pagina cattura il lettore nella progressione di fatti che – ad un certo punto e in un certo luogo, come un fiume di forze in veloce movimento troppo difficile da arginare – sfocia in uno degli atti più crudeli e incomprensibili a cui l’Italia contemporanea abbia assistito.

Andiamo con ordine. È la sera di capodanno del 2016 quando Marco Prato e Manuel Foffo si incontrano: un evento casuale e insignificante all’apparenza, decisivo in realtà, poiché segna il momento in cui due personalità disturbate vengono a contatto e pongono così un tassello decisivo nell’evolversi della storia. Due mesi dopo, in un marzo che si dibatte tra sindaci assenti e doppi papi, i due giovani si rivedono per trascorrere insieme alcuni giorni destinati a sfociare in un climax costituito da assunzione di stupefacenti, superalcolici ed altre sostanze, perversione, giochi erotici, eccitazione e adrenalina, fino alla teorizzazione di idee folli, violente, che infine si trasformano in atti concreti. È così che avviene l’aggressione crudele e inconcepibile ai danni di Luca Varani, un ragazzo della provincia romana, il quale non aveva altra colpa se non quella di condurre una doppia vita più per ingenuità che altro e soprattutto di essere finito nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Ha appena ventitré anni Luca quando esala l’ultimo respiro in casa di Manuel Foffo, dopo essere stato ripetutamente colpito con coltelli e martelli, seviziato, torturato, drogato. Perché?

La domanda è l’intero motore del libro che Nicola Lagioia pubblica cinque anni dopo il fatto, a seguito di un lavoro di ricerca, documentazione e tentativi di comprensione interminabile. Un lavoro talmente accurato ed immenso – non soltanto nella mole di carte, ma anche nell’impatto emotivo – che lo stesso Lagioia fatica a venirne fuori, a mettere il punto fine di fronte a una vicenda che non vuol lasciare andare né lui, né il lettore.

Non si può, in effetti, lasciarla andare, perché questo omicidio – per la natura stessa che lo connota, per la mancanza di un movente, per le personalità tutto sommato nella norma dei colpevoli e la totale innocenza della vittima – non riesce a dare mai una risposta soddisfacente alla domanda da cui parte il libro stesso: perché? Qual è la forza oscura alla base di una tale atrocità, la motivazione, la spiegazione comprensibile che ci farebbe sentire al sicuro, certi che a noi non potrebbe mai capitare qualcosa del genere? Non esiste risposta, ed è per questo che il libro, così come l’episodio che narra, turba gli animi umani e scuote la società nel profondo, ribaltando ogni certezza e mettendone in luce l’estrema fragilità.

È molto bravo, Lagioia, non soltanto a ricostruire con precisione e accuratezza i fatti, ma anche a inserire la vicenda in un contesto specifico: è la Roma dello sfacelo, quella della politica corrotta e della spazzatura a cielo aperto, dei gabbiani che si avventano sui topi squartandoli davanti a bambini terrorizzati e delle periferie dimenticate, dei fiumi di cocaina che scorrono nelle notti romane e dell’errata convinzione di essere superiori a qualunque regola, educazione, forma di ordine o organizzazione. Eppure, Roma non è soltanto questo: tra le rovine e le macerie si respira ancora la grandezza di quel passato che l’ha resa immortale; una città morta, in cui le tracce di antiche civiltà emergono ad ogni angolo, e tuttavia l’unica vera Città dei vivi, perché nessuno come i romani sa godersi il momento, trasmettere allegria, socializzare, scorgere la bellezza nello sfacelo.

“Il Mondo di Mezzo non era una novità. Tutti a Roma trovavano sempre il modo per incontrarsi con tutti. Nelle notti del 40 dopo Cristo Messalina, la moglie diciassettenne dell’imperatore Claudio, si sbarazzava degli abiti regali e (…) andava a prostituirsi nei bassifondi della città.

(…) Roma era morta e risorta tante volte, e io non ero così arrogante da credere che l’attuale tracollo fosse quello definitivo. (…) La città di sotto si stava mangiando quella di sopra, i morti divoravano i vivi, l’informe guadagnava terreno. Nutrire una speranza non era più vissuto come dabbenaggine ma come un insulto mortale, ciò che resta di vitale attirava l’aggressione, il morso del contagio, e quella piccola barriera rivestita di legno, la porta dell’appartamento di Manuel Foffo (…), simboleggiava il capolinea di un lungo processo degenerativo. Al tempo stesso era una premonizione, una promessa. Tutti passerete di qua, se non ci siete già passati”.

Ed eccola, allora, la risposta probabilmente più completa, articolata e difficile da accettare che sia stata data da qualcuno a quella domanda rimasta a campeggiare spaventosa nell’aria. Nicola Lagioia ce la consegna in tutta la sua cruda verità, e non è affatto tranquillizzante.

Un romanzo intenso, da leggere con calma e talvolta rileggere per sottolineare alcuni passaggi, fermandosi a riflettere, ad approfondire. Una lettura quasi indispensabile per aprire gli occhi sul mondo che abbiamo lasciato alle nostre spalle e su quello verso cui ci stiamo dirigendo.